Verderio: bruciato il pallone di ovatta per i due santi della parrocchia, Nazaro e Celso

Domenica di festa nella chiesa di Verderio ex Inferiore, dove questa mattina si è bruciato il pallone di ovatta in memoria dei santi martiri, divenuti patroni della parrocchiale, Nazaro e Celso.




La funzione si è aperta con le parole del vicario don Emanuele Ronco. "Dobbiamo mettere il vestito della festa, come quando si fa messa" ha esordito, per poi domandare ai fedeli. "Avete indossato il bel vestito interiore?". "Vi devo raccontare una cosa bella - ha proseguito il sacerdote -. Ieri ero in chiesa, come ogni sabato, per confessare e sono arrivate quattro ragazze accompagnate da due catechisti che desideravano chiedere perdono. Ma che bello! Il miracolo dell’amore, della pazienza, della Fede. Confessiamoci, perché confessarsi non è dire i peccati, come un elenco, ma è affermare: Gesù, io ti amo!".

VIDEO


Sulle note del “Gloria” don Emanuele ha poi dato fuoco al pallone di ovatta - simbolo della vita del martire che si consuma per la fede ardente della Santissima Trinità - che ha continuato a bruciare sino a lasciare solo lo “scheletro” di ferro della sfera.
Dopo la lettura del Vangelo, il sacerdote ha ripercorso la storia di Nazaro e Celso, protettori della Parrocchia. I due erano soldati, ha raccontato don Emanuele, coinvolgendo i fedeli attraverso una serie di domande. "Sapete cosa significa la parola martire? Vuol dire che sono morti per amore. Perseguitati dall’imperatore Nerone, hanno risposto con queste parole: "Se ci obbligano a rinnegare la nostra fede, daremo il nostro sangue a Gesù". E morirono, perché dissero: "Noi vogliamo rimanere Cristiani"".



"Ci sono ancora i martiri?" ha chiesto ancora il celebrante, citando figure come il magistrato Rosario Livatino, la cui lotta contro la mafia nel Ragusano gli è costata la vita, nonchè don Pino Puglisi, palermitano, toccato dalla stessa sorte - ucciso da un sicario di Cosa Nostra - dopo aver lottato per allontanare i ragazzini dalle cosche.



"C'è una persona di cui tu conosci molto bene il nome. È la mia e la tua mamma, è il mio e il tuo papà - ha detto infine il sacerdote -. Anche loro sono martiri perché hanno messo in pratica una frase del Vangelo: "E Gesù avendo amato i suoi li amò sino alla fine". Non c'è amore più grande di chi dona la sua vita, come farebbe ogni genitore per i propri figli" ha terminato don Emanuele, riprendendo le due frasi scritte nel notiziario parrocchiale: una rivolta ai genitori ("Siate fiduciosi e forti, pronti a donare tutto voi stessi per il bene dei figli") e una ai giovani ("Siate anche voi martiri, cioè capaci di esaltare la bellezza della vita, mettendovi al servizio dei piccoli e dei poveri").
F.Fu.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.