Retesalute: dopo i comuni, i liquidatori diffidano consulenti e  C.d.A. 'Versate 3,7 milioni o procediamo in sede giudiziaria'

I liquidatori di Retesalute non hanno perso tempo: prima hanno scritto a tutti i comuni soci chiedendo, pro quota, 3,9 milioni per debiti imprecisati ancora da onorare. Poi, con un doppio colpo secco, hanno chiesto a un gruppo di persone - gruppo variegato più sorprendente per le assenze che per le presenze - 3,7 milioni, fra loro in solido per la mala gestione.

Parafrasando Flaiano si potrebbe dire che la situazione è (in apparenza) seria ma non grave. L'avvocata ingaggiata dai liquidatori intima a alcuni consulenti, non tutti, e alcuno membri del CdA, non tutti di versare in solido i 3,7 milioni entro 30 giorni. Così, sulla base delle analisi della società di certificazione BDO che però non risulta abbia ancora certificato i bilanci dal 2015 in avanti e, comunque non risultano approvati i bilanci 2019 e 2020. CLICCA QUI per visualizzare il testo integrale della diffida.

Secondo le rilevazioni ci sarebbero state perdite per 1,5 milioni anche prima del 2015 e poi, via via disavanzi ogni anno fino a un totale, appunto di 3,9 milioni. Il risarcimento danni viene chiesto innanzitutto al CdA di Salvioni, il secondo, rimasto in carica circa 18 mesi. Perché debbano rispondere del prima e del dopo non è chiaro.

Paolo Emanuele Grimoldi, Ciro D'Aries, Alessandra Colombo

Come non è chiaro perché manchino all'appello i presidenti delle assemblee, dell'Ambito, i revisori dei conti dei comuni (dove si trovano scritti i residui attivi?), e gli stessi segretari comunali. Insomma tutti coloro che a vario titolo avrebbero dovuto vigilare.

Formidabile poi l'aggiunta alle perdite di oltre 300mila euro per spese di liquidazione cui se ne aggiungeranno ben altre. Da queste colonne abbiamo scritto più volte che, pagare per pagare e in presenza di un ottimo piano di rilancio datato 2018, liquidare facendosi carico dei costi era pura sciocchezza. Ed ecco puntuale la conferma: imposte pagate in più incluse - ma su quelle si può sempre chiedere il ricalcolo - siamo già a 540mila euro di spese.

Qualcuno ricorderà l'altezza delle barricate alzata da molti comuni soci alla richiesta del CdA Salvioni di un primo aumento di capitale di 400mila euro. Cotti e serviti.

Pare persino che qualcuno dei più riottosi non abbia neppure completato il versamento che, in qualsiasi società - quotata oppure no - è la formula più diffusa per rafforzare i mezzi propri, cioè il patrimonio netto.

E dato che il patrimonio netto è negativo per 3,7 milioni aumentare il capitale o porre all'immediato incasso i crediti sono manovre che qualsiasi CdA avrebbe varato senza arrivare alla liquidazione dell'azienda.

Ma chi glielo spiega a Massimo Augusto Panzeri o a Filippo Galbiati che la strada imboccata è senza ritorno perché ormai parte del persone se n'è andato e i servizi debbono essere appaltati?

Forse un giorno ci spiegheranno loro perché tanto accanimento, non giustificato giuridicamente, meno che mai ora con l'emendamento Fragomeli che, peraltro conferma quanto scritto dagli esperti Munafò-Ferrari secondo i quali in presenza di un piano di risanamento credibile e di un budget adeguato l'attività di un'azienda speciale pubblica può continuare anche dopo quattro esercizi in perdita.

Un'ultima annotazione perché chi meno capisce più fa danni: scrive sulla diffida l'avvocata nei capi d'accusa: "Non è stata rilevata l'incongruenza delle tariffe dei servizi resi dall'azienda rispetto ai relativi effettivi costi e non è stata domandata la revisione dei contributi comunali".

Un'annotazione esatta e una sbagliata: quella esatta è che i servizi spesso venivano venduti sotto costo - poveretto il solito che sosteneva il contrario - quella sbagliata è che nel piano di risanamento 2018 venivano chiesti ritocchi ai servizi e aumenti del contributo comunale più un contributo forfetario.

Morale: un casino - ci si consenta - senza ragione, quando bastava applicare il piano di risanamento e risalire la china mantenendo intatta la straordinaria validità dell'azienda di Novate che opera nei servizi alla persona, non nel commercio ortofrutticolo.

Il piano fu bocciato: ora i liquidatori nulla hanno da dire ai sindaci dei comuni che di fatto hanno impedito la ricapitalizzazione della società e il suo rilancio mediante l'allargamento della base societaria per raggiungere una massa attiva tale da giustificare figure apicali indispensabili, come un direttore amministrativo e finanziario?

Claudio Brambilla
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