LIBRI CHE RIMARRANNO/26: ''Gli amanti sommersi'' di Mattia Conti

C'è un ramo del lago di Como, quell'altro.
E c'è una strada che è detta Regina.
Una ragazza in bicicletta che si chiama Giovanna. E un gruppo di gerarchi di una nuova tirannide che cercano di fuggire verso la Svizzera. Chi vi si nasconde cerca di travisare il suo aspetto, che però è inconfondibile.
C'è una cartelletta di cuoio che contiene documenti fondamentali, e che sparisce.
E oro, tanto oro. E gioielli, da inventariare perché servano poi a una causa comune.
C'è una strada che sale verso Giulino di Mezzegra e un cancello dove solo gli ingenui credono ancora che si sia consumato il fatto lì ricordato. E c'è una ringhiera affacciata sul lago nella piazzetta di Dongo in cui si intravedono ancora i fori di proiettile.
Questo racconta "GLI AMANTI SOMMERSI" (Solferino 2021 - 396 pagg., Euro 18,50), il romanzo di Mattia Conti appena uscito in libreria, e vien da chiedersi come facciano ad esserci già i fori di proiettile di una fucilazione che Mattia racconta avverrà nel 2030.
Perché il romanzo è ambientato proprio in questo nostro prossimo, quasi immediato futuro, come un tentativo ravvicinatissimo di distopia, ma non solo. Un regime paramilitare ha preso il controllo dell'Italia degli anni Trenta del Duemila attraverso il monopolio della comunicazione, la gestione del "Social Unico" e l'uso educativo della violenza di Stato. La Resistenza sopravvive e combatte alla vecchia maniera, con messaggi di carta e staffette, e nomi di battaglia, e amori necessari anche se destinati alla morte.
È già successo, cento anni fa.
Lui si chiamava Luigi Canali e divenne il capitano Neri, lei si chiamava Giuseppina Tuissi e divenne "la Gianna" dopo che il suo Giovanni Alippi venne preso e fucilato. Sui monti tra i partigiani si innamorò del Neri, e vennero catturati dai brigatisti neri sopra Lezzeno. Imprigionati e torturati, lei rinchiusa in un armadio con topi e blatte, mostrata nuda al Neri, lui riuscì a fuggire, lei liberata come premio - questa la voce che venne fatta circolare a bella posta - per aver rivelato nomi di altri partigiani e luoghi di ritrovo: da quel momento in poi le insidie si nascosero nei loro stessi compagni di Resistenza.
La Storia si incrociò con la loro quando nel '45 erano parte della 52sima brigata che catturò Mussolini a Dongo, in fuga verso la Svizzera. La Gianna redasse l'inventario di ciò che contenevano le casse del convoglio del Duce: di quell'oro si persero subito le tracce, almeno ufficialmente. Che poi tutti sappiano in quali altre botteghe oscure sia finito è un'altra storia. Così anche della borsa dei documenti che il Duce aveva con sé.
E di Neri e della Gianna, che troppo avevano visto e che non ci sono più, fatti fuori dai loro stessi compagni. Lei gettata nel lago al pizzo di Cernobbio, secondo la regola di "un colpo alla testa ed uno al ventre, così il corpo succhia e va a fondo più rapidamente" nella foiba d'acqua là sotto.

Mi sono dilungato sui particolari di questa vicenda per poter essere giustamente reticente su quelli del nuovo romanzo di Mattia Conti, che ha proprio questa storia sotto traccia.
Si può leggere ogni pagina degli "Amanti sommersi" cercando in filigrana i riferimenti alla storia del '45, ma sarebbe più un'autopsia che un piacere: chi conosce quei fatti si sorprenderà di come, inaspettatamente, a una voltata di pagina, riemergano particolari precisi anche se rigiocati in un nuovo tempo.
Si può leggere il romanzo come un'antifrasi: se è vero che lo studio della storia dovrebbe insegnare a non commettere più gli stessi errori, è altrettanto vero che ci sono storie che si leggono bene solo da lontano, e bisogna riscrivere il passato al futuro per carpirne talora i segreti, come diceva Borges: "sono i posteri a creare gli antenati".
"Gli amanti sommersi" è debitore dichiarato degli studi di Cecco Bellosi, Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni, Mirella Serri, che hanno indagato e raccontato la storia di Gianna e Neri.
Ma deve molto anche a George Orwell di "1984", all'ultimo McEwan dello "Scarafaggio" nella costruzione di un linguaggio futuribile e di una situazione politicamente paradossale. E al Fogazzaro di "Malombra", anche, per alcune dinamiche psicologiche e quasi metempsicotiche, hitchcockiane ante litteram.
Si legge con fatica fino a metà, quando il romanzo si innalza e prende un respiro diverso, più concentrato sul gioco della filigrana intertestuale e meno preoccupato di strizzare l'occhio al lettore moderno (la nuova discriminazione razziale verso il popolo cinese reo di aver importato un certo virus, per esempio, sembra un obolo troppo appiattito alla cronaca attuale). A voler essere critici si direbbe una scrittura ancora acerba. Se si osserva la biografia anche professionale di Conti non si può non ritrovarvi i ritmi sincopati della scrittura cinematografica, con analessi, prolessi e squarci inattesi.
A voler essere amici di Mattia, come io mi onoro, si capisce che le frasi ruvide e persino criptiche cercano un mimetismo sintattico e lessicale di quel metalinguaggio che fu dei partigiani, fatto di codici e slogan, di prudenza e fanatismo, sempre di ardore.
È un libro che lascia molte domande: qualcuna gliela farò dal vivo martedì 20, alle 18.15, alla Libreria Volante di Lecco, nella prima uscita pubblica del romanzo.
Molte altre avrebbero dovuto trovare risposte in questi ormai quasi cento anni che ci separano dal delirio di quella dittatura ventennale, e invece pare che non si siano finora trovate le risposte giuste, e tocchi ancora e sempre resistere.
Così va il mondo. Voglio dire, così andrà nel 2030 immaginato da Mattia Conti. Che è dietro l'angolo e di cui i responsabili siamo noi.

Stefano Motta
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