LIBRI CHE RIMARRANNO/25: Teruzzi, Lucarelli, Pérez-Reverte. autori da mettere in valigia
Se qualche fortunato si sta già ingegnando con le valigie e ha un paio di buchi da riempire, mi piace suggerire, come faccio ogni anno, qualche titolo da portare con sé, indispensabile come e forse ancor più della protezione solare per le vacanze
“Ombre sul Naviglio”, di Rosa Teruzzi (Sonzogno, Euro 14,00) riannoda i fili con il romanzo precedente, come sempre fa Rosa in questa sua collana che ha acquisito la dimensione della serialità senza pagare, finora, l’obolo alla prevedibilità. Jole e Libera, madre e figlia, fioraia la seconda, figlia dei fiori la prima, si mettono sulle tracce di una banda che compie furti nel milanese vestiti da Gatto con gli Stivali, Fata Turchina e Zorro. Dall’acqua del Naviglio alla sponda adriatica di Cesenatico il romanzo scorre godibile e meno prevedibile dei precedenti. Per la prima volta, forse, Rosa accetta un punto di vista omodiegetico nella narrazione con una diversa focalizzazione, inserendo direttamente il punto di vista dei ladri. Perché uno dei loro nasconde un mistero più grande rispetto alle sole ragioni per cui compirebbe quei furti. E uccidetemi si rivelerò di più della trama di un giallo, soprattutto se è scritto da un’amica.
Come scrive Arturo Pérez-Reverte nell’introduzione, “Sidi” (Rizzoli, Euro 20,00) è la sua versione dell’epopea del Cid Campeador, che sta alla Spagna come Garibaldi sta all’Italia: paladino dell’unità, pellegrino in quasi tutti gli angoli del paese, straniero ovunque. La serie televisiva di recentissimo successo si concentrava sui primordi della sua leggenda, altri libri sulle imprese militari conclusive che portarono alla liberazione di Valencia dalla dominazione araba, questo di Pérez-Reverte coglie Rodrigo Díaz di Vivar nei mesi successivi all’esilio a cui re Alfonso lo aveva condannato. Scritto coi ritmi di un western, tradotto da Bruno Arpaia con la consueta forza, si legge come un’avventura e come un paradosso: vendutosi al soldo del re arabo di Saragozza, condottiero cattolico di un esercito musulmano, Rodrigo destinerà sempre un quinto dei suoi guadagni al suo re di Castilla y Leon, in una fedeltà personale incorrotta. Va letto, senza dubbio.
Siccome non c’è due senza tre, aggiungo un titolo di un altro amico, Carlo Lucarelli, vincitore lo scorso anno del Premio Manzoni alla Carriera, “Febbre gialla” (Feltrinelli, Euro 8,50). La collana di Feltrinelli annovera grandi scrittori che hanno scritto storie per giovani lettori. Che Lucarelli sia un grande scrittore non occorre qui ribadirlo. Che la grandezza dei veri grandi stia nella capacità di farsi leggere anche dai giovani è un punto fermo che andrebbe ricordato ai molti parvenu che affollano gli scaffali delle librerie e scrivono storie ad usum delphini. I lettori giovani hanno un palato finissimo e vanno trattati bene, per certi versi meglio degli adulti. Il romanzo racconta la storia di Hô, otto anni, cinese, piccolo lavoratore schiavo della Triade e ora in fuga. La sua Lambretta si scontra con la Due Cavalli di Vittorio, poliziotto febbricitante.
Mio figlio Andrea, dodici anni, l’ha letto in un pomeriggio: non perché è il figlio di uno scrittore e le colpe dei padri ricadono sui figli, ma perché è scritto bene.
“Ombre sul Naviglio”, di Rosa Teruzzi (Sonzogno, Euro 14,00) riannoda i fili con il romanzo precedente, come sempre fa Rosa in questa sua collana che ha acquisito la dimensione della serialità senza pagare, finora, l’obolo alla prevedibilità. Jole e Libera, madre e figlia, fioraia la seconda, figlia dei fiori la prima, si mettono sulle tracce di una banda che compie furti nel milanese vestiti da Gatto con gli Stivali, Fata Turchina e Zorro. Dall’acqua del Naviglio alla sponda adriatica di Cesenatico il romanzo scorre godibile e meno prevedibile dei precedenti. Per la prima volta, forse, Rosa accetta un punto di vista omodiegetico nella narrazione con una diversa focalizzazione, inserendo direttamente il punto di vista dei ladri. Perché uno dei loro nasconde un mistero più grande rispetto alle sole ragioni per cui compirebbe quei furti. E uccidetemi si rivelerò di più della trama di un giallo, soprattutto se è scritto da un’amica.
Come scrive Arturo Pérez-Reverte nell’introduzione, “Sidi” (Rizzoli, Euro 20,00) è la sua versione dell’epopea del Cid Campeador, che sta alla Spagna come Garibaldi sta all’Italia: paladino dell’unità, pellegrino in quasi tutti gli angoli del paese, straniero ovunque. La serie televisiva di recentissimo successo si concentrava sui primordi della sua leggenda, altri libri sulle imprese militari conclusive che portarono alla liberazione di Valencia dalla dominazione araba, questo di Pérez-Reverte coglie Rodrigo Díaz di Vivar nei mesi successivi all’esilio a cui re Alfonso lo aveva condannato. Scritto coi ritmi di un western, tradotto da Bruno Arpaia con la consueta forza, si legge come un’avventura e come un paradosso: vendutosi al soldo del re arabo di Saragozza, condottiero cattolico di un esercito musulmano, Rodrigo destinerà sempre un quinto dei suoi guadagni al suo re di Castilla y Leon, in una fedeltà personale incorrotta. Va letto, senza dubbio.
Siccome non c’è due senza tre, aggiungo un titolo di un altro amico, Carlo Lucarelli, vincitore lo scorso anno del Premio Manzoni alla Carriera, “Febbre gialla” (Feltrinelli, Euro 8,50). La collana di Feltrinelli annovera grandi scrittori che hanno scritto storie per giovani lettori. Che Lucarelli sia un grande scrittore non occorre qui ribadirlo. Che la grandezza dei veri grandi stia nella capacità di farsi leggere anche dai giovani è un punto fermo che andrebbe ricordato ai molti parvenu che affollano gli scaffali delle librerie e scrivono storie ad usum delphini. I lettori giovani hanno un palato finissimo e vanno trattati bene, per certi versi meglio degli adulti. Il romanzo racconta la storia di Hô, otto anni, cinese, piccolo lavoratore schiavo della Triade e ora in fuga. La sua Lambretta si scontra con la Due Cavalli di Vittorio, poliziotto febbricitante.
Mio figlio Andrea, dodici anni, l’ha letto in un pomeriggio: non perché è il figlio di uno scrittore e le colpe dei padri ricadono sui figli, ma perché è scritto bene.
Stefano Motta