Retesalute: cosa resta oggi che tutti tornano a parlare di Casa della salute della Asp
Capire che cosa stia davvero succedendo in Retesalute è complicato. Il collegio liquidatori, dopo la violenta arringa del presidente D’Aries sembra – ma la notizia non ha trovato conferme – che abbia inoltrato un esposto anche nei confronti dell’Organismo di vigilanza, il quale a marzo scorso ha depositato una sorta di perizia di 50 pagine per ricostruire la vicenda che ha portato alla liquidazione l’azienda speciale pubblica (ASP) a causa del disavanzo registrato in almeno quattro esercizi, anche se non tutti i bilanci sono stati certificati da una società di revisione. Certo l’organismo di vigilanza non deve aver svolto appieno la propria funzione. Ma lo stesso si può dire allora dei revisori dei conti dei comuni soci che, evidentemente, si sono limitati ad acquisire il risultato d’esercizio della partecipata senza entrare nel merito del suo bilancio. Ignorando così il ricorso a operazioni contabili atte a occultare le reali perdite d’esercizio, mediante il ricorso a scritture ora per cassa (registro quando pago) ora per competenza.
L’unica scrittura autenticamente farlocca è il versamento che la responsabile amministrativa dell’epoca – che però non era dirigente, quindi si dovrà accertare fin dove arrivavano competenze e responsabilità – ha effettuato attingendo da fondi propri per poter pagare gli stipendi, recuperando poi successivamente la medesima somma. Un’anomalia evidente ma non certo un reato di gravità penale.
Per il resto l’Organismo chiama in causa tutti, due Consigli di Amministrazione, quelli a guida Alessandro Salvioni, dal 2015 all’ottobre 2019, l’Assemblea dei soci fino a lambire il direttore generale allora in carica, espertissima di servizi sociali ma non di contabilità. Alla dottoressa Milani sembra sia stato bloccato il trattamento di fine rapporto e sembra anche che il collegio liquidatori si sia opposto al ricorso presentato dalla dirigente per ottenere quanto in suo diritto sindacale.
L’esperienza della dottoressa Ronchi si conclude comunque nel 2018 con la predisposizione del bilancio e della bozza di budget 2019, dopodiché entra in carica la dottoressa Mattiello – recentemente dimessasi – ingaggiata dal CdA a guida Salvioni. I primi controlli evidenziano situazioni anomale. Nel frattempo il CdA in carica decade e si prepara la sostituzione con soggetti chiaramente indicati dai partiti a cominciare dalla presidente Alessandra Colombo di ferrea fede PD. Con la trimestrale prendono corpo i primi veri risultati d’esercizio, peraltro già evidenziati dal cdA decaduto che, nel 2018 aveva presentato – non a caso – un piano di risanamento e rilancio che poggiava su un adeguamento delle tariffe e un contributo in conto esercizio pro capite straordinario. Dunque gli elementi c’erano tutti se davvero qualcuno avesse voluto guardarci dentro. I comuni avevano tempo fino al 30 novembre per l’ultima sessione di variazione di bilancio, predisponendo accantonamenti necessari a rifinanziare la partecipata.
Come funzionasse poi il meccanismo dell’Ambito con i cui fondi venivano pagate le fatture potrebbero spiegarlo molto bene prima Adele Gatti, già presidente e sindaca di Airuno, quindi presente anche nell’assemblea dei soci di Retesalute e poi Filippo Galbiati, idem come sopra.
Restano alcuni punti fissi in questa vicenda:
1) - Nessuno ha sottratto un euro dai conti della società, almeno fino a prova contraria
2) - Il CdA Salvioni – che ha lavorato gratis come da statuto – aveva impostato un ottimo piano di risanamento e rilancio bocciato dall’Assemblea dei soci parecchi dei cui membri oggi gridano allo scandalo anziché prendere umilmente atto della propria incapacità di comprendere i dati di un conto economico, di uno stato patrimoniale, di una contabilità analitica e così via……
3) - La “confusione” tecnica tra crediti e debiti, peraltro asseverati dopo la circolarizzazione, non ha indotto né i soci, né l’Ambito né - e qui la cosa si fa curiosa – i principali fornitori a sollevare obiezioni.
4) - La politica espansiva portata avanti da Emilio Zanmarchi con l’appoggio esterno di Marco Panzeri e interno del CdA Salvioni avrebbe dato a Retesalute una dimensione economica sostenibile, in grado di operare con i necessari ruoli professionali ma ha trovato la dura opposizione del solito fronte Piddino che di fatto ha paralizzato tutto.
5) - Le irregolarità di bilancio sembrano evidenti, tuttavia la sintesi economico-finanziaria resta molto semplice: i costi dei servizi erogati – di alta qualità – erano superiori ai ricavi fatturati ai comuni nella loro duplice veste di clienti e soci. E per i Comuni ciò è tornato molto utile soprattutto negli anni in cui vigevano durissimi vincoli di bilancio dovuti al patto di stabilità.
Vedremo dove porteranno le azioni legali intraprese da alcuni comuni singolarmente e ora dal collegio dei liquidatori.
Tre cose però, a nostro parere, sono certe:
a) - Retesalute ha perso moltissime figure professionali anche di elevata esperienza e ciò per qualsiasi azienda rappresenta un danno enorme
b) - Già qualche comune denuncia difficoltà nell’ottenimento dei servizi e lamenta la linea operativa adottata dal collegio dei liquidatori
c) - Per chiudere la società, perché lì si andrà, Retesalute dovrà spendere 140 mila euro per i liquidatori più altri 100mila euro tra società di revisione, perizie, notaio ecc.
Sono certi tutti coloro che hanno voluto la liquidazione di Retesalute che ne sia valsa la pena, quando con i necessari accorgimenti tariffari, già nel 2020 è stato raggiunto il pareggio di bilancio?
E cosa dire della straordinaria occasione persa, di ridare vita – grazie al ritorno dei distretti su base territoriale con 100-120mila abitanti – a quel modello meratese di continuità assistenziale che tanto fu portato ad esempio negli anni ottanta. Manca davvero la visione, non ci sono più sindaci con un progetto in testa. Pensate: un ospedale a vocazione territoriale più un’azienda che si occupa di servizi sociali e continuità assistenziale dentro un unico distretto. Sarebbe un sogno. Ma i nostri amministratori non sanno nemmeno sognare.
L’unica scrittura autenticamente farlocca è il versamento che la responsabile amministrativa dell’epoca – che però non era dirigente, quindi si dovrà accertare fin dove arrivavano competenze e responsabilità – ha effettuato attingendo da fondi propri per poter pagare gli stipendi, recuperando poi successivamente la medesima somma. Un’anomalia evidente ma non certo un reato di gravità penale.
Per il resto l’Organismo chiama in causa tutti, due Consigli di Amministrazione, quelli a guida Alessandro Salvioni, dal 2015 all’ottobre 2019, l’Assemblea dei soci fino a lambire il direttore generale allora in carica, espertissima di servizi sociali ma non di contabilità. Alla dottoressa Milani sembra sia stato bloccato il trattamento di fine rapporto e sembra anche che il collegio liquidatori si sia opposto al ricorso presentato dalla dirigente per ottenere quanto in suo diritto sindacale.
L’esperienza della dottoressa Ronchi si conclude comunque nel 2018 con la predisposizione del bilancio e della bozza di budget 2019, dopodiché entra in carica la dottoressa Mattiello – recentemente dimessasi – ingaggiata dal CdA a guida Salvioni. I primi controlli evidenziano situazioni anomale. Nel frattempo il CdA in carica decade e si prepara la sostituzione con soggetti chiaramente indicati dai partiti a cominciare dalla presidente Alessandra Colombo di ferrea fede PD. Con la trimestrale prendono corpo i primi veri risultati d’esercizio, peraltro già evidenziati dal cdA decaduto che, nel 2018 aveva presentato – non a caso – un piano di risanamento e rilancio che poggiava su un adeguamento delle tariffe e un contributo in conto esercizio pro capite straordinario. Dunque gli elementi c’erano tutti se davvero qualcuno avesse voluto guardarci dentro. I comuni avevano tempo fino al 30 novembre per l’ultima sessione di variazione di bilancio, predisponendo accantonamenti necessari a rifinanziare la partecipata.
Come funzionasse poi il meccanismo dell’Ambito con i cui fondi venivano pagate le fatture potrebbero spiegarlo molto bene prima Adele Gatti, già presidente e sindaca di Airuno, quindi presente anche nell’assemblea dei soci di Retesalute e poi Filippo Galbiati, idem come sopra.
Restano alcuni punti fissi in questa vicenda:
1) - Nessuno ha sottratto un euro dai conti della società, almeno fino a prova contraria
2) - Il CdA Salvioni – che ha lavorato gratis come da statuto – aveva impostato un ottimo piano di risanamento e rilancio bocciato dall’Assemblea dei soci parecchi dei cui membri oggi gridano allo scandalo anziché prendere umilmente atto della propria incapacità di comprendere i dati di un conto economico, di uno stato patrimoniale, di una contabilità analitica e così via……
3) - La “confusione” tecnica tra crediti e debiti, peraltro asseverati dopo la circolarizzazione, non ha indotto né i soci, né l’Ambito né - e qui la cosa si fa curiosa – i principali fornitori a sollevare obiezioni.
4) - La politica espansiva portata avanti da Emilio Zanmarchi con l’appoggio esterno di Marco Panzeri e interno del CdA Salvioni avrebbe dato a Retesalute una dimensione economica sostenibile, in grado di operare con i necessari ruoli professionali ma ha trovato la dura opposizione del solito fronte Piddino che di fatto ha paralizzato tutto.
5) - Le irregolarità di bilancio sembrano evidenti, tuttavia la sintesi economico-finanziaria resta molto semplice: i costi dei servizi erogati – di alta qualità – erano superiori ai ricavi fatturati ai comuni nella loro duplice veste di clienti e soci. E per i Comuni ciò è tornato molto utile soprattutto negli anni in cui vigevano durissimi vincoli di bilancio dovuti al patto di stabilità.
Vedremo dove porteranno le azioni legali intraprese da alcuni comuni singolarmente e ora dal collegio dei liquidatori.
Tre cose però, a nostro parere, sono certe:
a) - Retesalute ha perso moltissime figure professionali anche di elevata esperienza e ciò per qualsiasi azienda rappresenta un danno enorme
b) - Già qualche comune denuncia difficoltà nell’ottenimento dei servizi e lamenta la linea operativa adottata dal collegio dei liquidatori
c) - Per chiudere la società, perché lì si andrà, Retesalute dovrà spendere 140 mila euro per i liquidatori più altri 100mila euro tra società di revisione, perizie, notaio ecc.
Sono certi tutti coloro che hanno voluto la liquidazione di Retesalute che ne sia valsa la pena, quando con i necessari accorgimenti tariffari, già nel 2020 è stato raggiunto il pareggio di bilancio?
E cosa dire della straordinaria occasione persa, di ridare vita – grazie al ritorno dei distretti su base territoriale con 100-120mila abitanti – a quel modello meratese di continuità assistenziale che tanto fu portato ad esempio negli anni ottanta. Manca davvero la visione, non ci sono più sindaci con un progetto in testa. Pensate: un ospedale a vocazione territoriale più un’azienda che si occupa di servizi sociali e continuità assistenziale dentro un unico distretto. Sarebbe un sogno. Ma i nostri amministratori non sanno nemmeno sognare.
Claudio Brambilla