Sul disagio psichico anche nel lecchese c’è del marcio
Da alcuni giorni delle testate nazionali, delle associazioni e personaggi della politica narrano che qualcosa in Friuli-Venezia Giulia non va per quanto riguarda la politica della salute mentale. La cabina di regia del sistema non è più basagliana e c'è il rischio che vengano introdotte altre pratiche.
La cosa passerebbe inosservata se accadesse in un'altra regione, lì, la cosa assume un certo significato. Giustamente. Il modello basagliano va salvaguardato. Nessuno lo mette in discussione, anzi, per fortuna c'è. Va difeso.
Ma l'accaduto coinvolge la complessità della questione. La salute mentale è sempre posta all'ultimo piano degli interessi politici, organizzativi della sanità. Anche nello sbandierato Recovery Plan non è presente un capitolo specifico con finanziamenti vincolati per la salute mentale, ma vi sono diverse linee progettuali con risorse che potrebbero/dovrebbero essere sviluppate anche per dare risposte al crescente disagio psichico. Si affermano i soliti generici impegni:..."Individuare standard qualitativi, tecnologici e organizzativi, uniformi a livello nazionale, significa ristrutturare a livello regionale una gamma di servizi che spaziano dall'assistenza primaria, ai consultori familiari, all'area della salute mentale, salvaguardando, al contempo, le peculiarità e le esigenze assistenziali di ogni area del Paese. Lo scopo è garantire alle persone, indipendentemente dalla regione di residenza, dalla fase acuta alla fase riabilitativa e di mantenimento, un'assistenza continua e diversificata sulla base dello stato di salute."
Ma non c'è un finanziamento specifico. E ci scandalizziamo se c'è il rischio di ritrovarsi di fronte a pratiche vetuste e poco democratiche ?
Basta rimettere piede nella realtà lecchese per rendersi conto della situazione. Una struttura indecente, inqualificabile, retta da ponteggi da vent'anni svolge una funzione sanitaria riguardante la salute mentale: non tanto meglio è il luogo per le tossicodipendenze. Non parliamo poi del reparto chiuso, della pratica della contenzione che è quotidiana; pratica che supera il confine del reparto di cura dell'Ospedale Alessandro Manzoni e si estende anche nelle varie strutture delle RSA.
Tutte le attività di riabilitazione, socializzazione, occupazione sono state appaltate a cooperative private. Va tutto bene, una volta cantava Nunzio Filogamo, madama la marchesa! Va proprio tutto bene, con queste esternalizzazioni?
Ripensare la sanità pubblica forse implica anche ponderare i processi qualitativi e strategici. La cura non può essere soltanto rinchiusa dentro l'ospedale.
Sempre nel Recovery Plan: "Servizi sanitari di prossimità, strutture e standard per l'assistenza sul territorio. L'attuazione della riforma intende perseguire una nuova strategia sanitaria, sostenuta dalla definizione di un adeguato assetto istituzionale e organizzativo, che consenta al Paese di conseguire standard qualitativi di cura adeguati, in linea con i migliori paesi europei e che consideri, sempre più, il SSN come parte di un più ampio sistema di welfare comunitario. "
Ma la riforma n. 883, del Servizio Sanitario Nazionale del 1978 forse non conteneva già una serie di indicazioni specifiche e innovative che sono state completamente inevase, tagliate?
Madama la marchesa! Crederci ?.
Certo, G.B. Vico direbbe che la storia è ciclica, che è fatta di corsi e di ricorsi. Peccato però che la contenzione permane, che i reparti sono chiusi, che le strutture sono fatiscenti e vetuste. Basta fare un giro per verificare le condizioni abitative di queste strutture. Forse non solo in Friuli-Venezia Giulia c'è del marcio? Forse anche nel lecchese c'è del marcio, ma questo non fa più odiens. Non l'ha mai fatto.