LIBRI CHE RIMARRANNO/23: ''Il silenzio'' di Don DeLillo

Don DeLillo ha la sconvolgente capacità profetica che solo i grandissimi hanno. Chi ha letto "Underworld", scritto prima dell'11 settembre, sa quello di cui sto parlando.
È uscito da qualche mese un suo libro stranissimo, cortissimo, cui si fa fatica ad assegnare l'etichetta di romanzo. Faccio personalmente fatica anche a definirlo un "racconto lungo". Mi pare piuttosto un lavoro preparatorio per altro, per una pièce teatrale, forse, o per un annichilente bilancio di fine vita e fine carriera, quasi.
Già in "Zero K" si intravedeva questo smarrimento di fronte al tempo che scorre inesorabile (Donald Richard DeLillo, figlio di immigrati molisani, è del '36) e l'utopia di una ibernazione criogenica per sfuggire non solo alla corruzione del corpo ma anche a quello generale della società e del mondo, e risvegliarsi in un futuro libero da malattie.
Là erano pur sempre le buone 250 pagine di Don DeLillo. Qui "Silenzio" scivola via in un mazzetto di fogli.
Jim Kripps e Tessa Berens sono su un volo da Parigi a Newark costretto a un atterraggio di fortuna per un blackout imprevisto.
Li attendevano i loro amici Max e Diane, per guardare insieme alla TV il Superbowl. Ma tutto è andato in tilt. Saltate le connessioni di rete, i telefoni, le televisioni, internet: silenzio. L'azzeramento del flusso delle informazioni genera un panico più profondo ed esistenziale, poiché nessuno sembra sapere più nulla, come se avessimo fatto outsourcing delle nostre stesse conoscenze, e non le possedessimo più se non in questa specie di rete.
Il presagio di questo disagio avviene già sull'aereo: Jim guarda in maniera ossessiva i dati sui piccoli monitor del sedile, altezza, pressione, previsioni del tempo all'arrivo, tempo stimato, velocità di crociera, ripetendoli a sé e a Tessa con l'insistenza di Dustin Hoffman in "Rain Man". Tessa non trova una definizione delle parole crociate, e quando la recupera e si incastra a perfezione, Jim dubita: hai controllato sul telefonino? le dice. Perché nulla è ormai vero se proviene dalla nostra sola conoscenza.
Se DeLillo non fosse l'immenso scrittore che è avrebbe ciurlato nel manico per trecento pagine, alla Ludlum, alla Clancy, e avrebbe sfornato un techno-thriller da rimanerci incollati per giorni.
Gli bastano invece 103 pagine, di piccolo formato. Nel silenzio che rimane una volta terminate c'è la domanda vera su quel che vorremo continuare a essere.
Stefano Motta