LIBRI CHE RIMARRANNO/21: ''Vai all'inferno, Dante!'' di Luigi Garlando
Comprare libri è sempre un piacere, comprare libri di amici lo è ancora di più. Invidiarne la prosa felice genera più ammirazione che rabbia, anche se ogni tanto quel libro lì vorresti averlo scritto tu.
Mandargli la foto di tuo figlio che legge il loro libro è una forma di ringraziamento, per tener vivo il fuoco. Non dell'inferno, ma dell'amicizia.
Sono stato per un po' il preside della figlia dell'autore di "Vai all'inferno, Dante!" e so che non si è ispirato a me per disegnare la figura del preside della scuola frequentata dal protagonista, Vasco, un bullo sofferente, uno di quei "figli di buona famiglia" di cui spesso si sente parlare nelle cronache di qualche bravata scolastica.
È appassionato di pesca, il preside in questione, e spesso sta con la canna fuori dalla finestra del suo ufficio, a prendere all'amo il cappello di una professoressa, o un quaderno smarrito.
È amico del nonno di Vasco e tifosissimo della Fiorentina, alle partite della quale il nonno gli riserva sempre un posto. Per questo il preside fa di tutto per aiutare Vasco, stemperare le sue marachelle, valorizzare le sue doti nonostante una pagella che sarebbe un campo minato.
Non amo la pesca né, io amante della Vecchia Signora, ho mai tifato Fiorentina in vita mia. Ho sempre avuto un occhio di riguardo per i ragazzi difficili, questo sì.
Eppure all'inizio del libro questo Vasco ci era insopportabile, a me e a mio figlio, per la protervia di cui sopra. Uno sbruffone irrispettoso e sgraziato, che la prosa di Luigi Garlando ingigantisce fino al paradosso, fino a quando in uno dei luoghi che ogni buon insegnante consiglierebbe di evitare, il videogioco Fortnite, Vasco incontra un avversario pittoresco e interessante, che si fa chiamare "Dante", veste in modo bislacco e favella in modo altrettanto curioso, giacché nella chat del gioco costui scrive in terzine di endecasillabi a rima incatenata.
Se nella "Commedia" è Dante ad aver bisogno di un Virgilio che gli faccia da guida, qui questo Dante è il Virgilio di Vasco, e viceversa. Quando un giorno compare veramente, in naso e vestiti buffi, Vasco lo conduce in giro, gli fa comprare degli abiti più adatti, lo porta al mare, stupendosi della gentilezza quasi infantile di questo nuovo amico, che spalanca gli occhi davanti al mondo moderno.
E Dante fa da guida a Vasco, nell'amicizia con una tale Bice - poteva chiamarsi diversamente? - e nella ritrovata passione per lo studio.
Non svelerò il finale del libro, naturalmente, che è una commedia nel senso drammaturgico e stilistico del termine tanto quanto lo è la "comedìa" del vero Dante. Una mescolanza di registri linguistici dal colto allo sconveniente ("parole che è meglio non dire", mi dice mio figlio) e di ritmi, una evoluzione verso un happy end che non è paradisiaco ma verosimile, e che Vasco non avrebbe raggiunto senza una presenza amica.
Nemmeno Dante se la sarebbe cavata dalle fiere della selva oscura senza l'amico Virgilio. Che faceva lo scrittore, a dirla tutta. Come Dante che salva Vasco. Come Luigi che salva i nostri figli staccandoli dalla console di Fornite e catturandoli con un buon libro.
Mandargli la foto di tuo figlio che legge il loro libro è una forma di ringraziamento, per tener vivo il fuoco. Non dell'inferno, ma dell'amicizia.
Sono stato per un po' il preside della figlia dell'autore di "Vai all'inferno, Dante!" e so che non si è ispirato a me per disegnare la figura del preside della scuola frequentata dal protagonista, Vasco, un bullo sofferente, uno di quei "figli di buona famiglia" di cui spesso si sente parlare nelle cronache di qualche bravata scolastica.
È appassionato di pesca, il preside in questione, e spesso sta con la canna fuori dalla finestra del suo ufficio, a prendere all'amo il cappello di una professoressa, o un quaderno smarrito.
È amico del nonno di Vasco e tifosissimo della Fiorentina, alle partite della quale il nonno gli riserva sempre un posto. Per questo il preside fa di tutto per aiutare Vasco, stemperare le sue marachelle, valorizzare le sue doti nonostante una pagella che sarebbe un campo minato.
Non amo la pesca né, io amante della Vecchia Signora, ho mai tifato Fiorentina in vita mia. Ho sempre avuto un occhio di riguardo per i ragazzi difficili, questo sì.
Eppure all'inizio del libro questo Vasco ci era insopportabile, a me e a mio figlio, per la protervia di cui sopra. Uno sbruffone irrispettoso e sgraziato, che la prosa di Luigi Garlando ingigantisce fino al paradosso, fino a quando in uno dei luoghi che ogni buon insegnante consiglierebbe di evitare, il videogioco Fortnite, Vasco incontra un avversario pittoresco e interessante, che si fa chiamare "Dante", veste in modo bislacco e favella in modo altrettanto curioso, giacché nella chat del gioco costui scrive in terzine di endecasillabi a rima incatenata.
Se nella "Commedia" è Dante ad aver bisogno di un Virgilio che gli faccia da guida, qui questo Dante è il Virgilio di Vasco, e viceversa. Quando un giorno compare veramente, in naso e vestiti buffi, Vasco lo conduce in giro, gli fa comprare degli abiti più adatti, lo porta al mare, stupendosi della gentilezza quasi infantile di questo nuovo amico, che spalanca gli occhi davanti al mondo moderno.
E Dante fa da guida a Vasco, nell'amicizia con una tale Bice - poteva chiamarsi diversamente? - e nella ritrovata passione per lo studio.
Non svelerò il finale del libro, naturalmente, che è una commedia nel senso drammaturgico e stilistico del termine tanto quanto lo è la "comedìa" del vero Dante. Una mescolanza di registri linguistici dal colto allo sconveniente ("parole che è meglio non dire", mi dice mio figlio) e di ritmi, una evoluzione verso un happy end che non è paradisiaco ma verosimile, e che Vasco non avrebbe raggiunto senza una presenza amica.
Nemmeno Dante se la sarebbe cavata dalle fiere della selva oscura senza l'amico Virgilio. Che faceva lo scrittore, a dirla tutta. Come Dante che salva Vasco. Come Luigi che salva i nostri figli staccandoli dalla console di Fornite e catturandoli con un buon libro.
Stefano Motta