LIBRI CHE RIMARRANNO/20: ''Come donna innamorata'' di Marco Santagata

Come ben sanno gli studenti, ci sono due Danti con cui bisogna fare i conti quando si legge la "Commedia": il Dante "auctor", vale a dire lo scrittore, il costruttore di quella cesellatissima cattedrale di parole, e il Dante "agens", il personaggio Dante, homo viator, protagonista fisico di quel viaggio ultraterreno guidato da Virgilio e da Beatrice.
Ciò che noi sappiamo del Dante uomo rischia di essere sempre filtrato da questa sua narrazione di sé stesso, come una mitopoietica.
Ogni tanto si sveglia qualche dantista sui generis o qualche esoterico incontinente e ne dà una rilettura misterica, massone ante litteram, iniziatica, transgender addirittura: ne ho viste di tutti i colori, e probabilmente non abbiamo ancora toccato il fondo.
Ogni tanto qualche dantista coi galloni prende il coraggio a due mani e riesce nell'impresa di raccontarci l'uomo Dante, trasformandolo in un personaggio narrativo, con la libertà e la fedeltà che i grandi scrittori hanno e che è dovuta al più grande di tutti noi.

Il romanzo si avvia con la malattia di Bice Portinari, che non è la perfetta creatura angelicata in cui noi la ingessiamo, non ha lineamenti perfetti se non quando viene vista con gli occhi dell'amore. Dante ne parla all'amico Guido Cavalcanti: "... l'amore, capisci?, è estasi. La poesia loda la bellezza del creato. Ti dico di più, amare un angelo in terra solleva l'anima in Cielo. Credimi, l'amore può salvare".
È un Dante ancora giovane, che non ha forse ancora trovato la sua voce, che ha scritto sonetti, ha tenzonato con Forese, ha scritto l'allegorico e un po' zozzo "Fiore", irretito dalla simbologia numerologica del 3 e del 9, dal colore rosso, dominante nelle apparizioni di Beatrice, e il termine è tecnico, poiché "gentile e onesta [ap]pare", appunto.
Come sa chiunque di noi scriva, la rabbia può dare forza, la passione politica può dare spessore, l'intelligenza darà brio, ma è solo l'amore che dà calore alla voce.
Ed è dall'amore per Beatrice che nasce la "Vita Nova": "Con la Vita Nova - scrive Santagata nel romanzo - si sarebbe giocato quasi tutte le sue carte. Trepidava mentre attendeva le reazioni dei primi lettori. Era in ansia perché temeva che le visioni, per quanto accennate o anche solo annunciate, potessero essere male intese, e invece della fama di saggio gli venisse affibbiata la nomea di stravagante, per di più presuntuoso. Così non fu, quasi subito il suo nome cominciò a correre con lode sulle bocche dei fiorentini. (p. 139)
Santagata osa, con l'ardimento dello studioso che alla fine è diventato amico dello scrittore con cui ha trascorso il suo tempo, ma sa fin dove può spingersi, con il rispetto del filologo e il pudore, appunto, dell'amico:
"Che fosse attratto da Bice era fuori discussione, ma si chiedeva anche se, per caso, non fossero i gesti di amicizia, le premure che lei gli riservava a spingerlo a interpretare come sentimento amoroso la soddisfazione di essere considerato da una delle dame più in vista di Firenze. Che poi, cosa ne sapeva lui dell'amore... Mai aveva provato quegli eccessi di onnipotente felicità che facevano dire al suo Guido: "Io cammino sulle acque". Mai era precipitato nella nera malinconia in cui Guido sprofondava. Ma si diceva anche che mai aveva provato per Gemma l'euforia, l'appagamento che gli dava la presenza di Bice, e neppure il desiderio di rivederla quando non le era vicino. E nemmeno però gli era mai capitato di chiedersi se lui Gemma l'amava."
Ci sono alcuni libri che io rileggo periodicamente, perché mi fanno bene per le storie che raccontano e perché vorrei rubarne la grazia, come fa un garzone di una bottega artigiana contemplando i gesti naturali e abilissimi del suo maestro, e "rubandogli il mestiere".
Ce ne sono altri che rileggo per non dimenticare il mestiere non dello scrivere ma del vivere. "Come donna innamorata" (Guanda. 2015) è entrambe queste cose.
Stefano Motta
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