Vittima di usura cede l'auto dell'azienda ai suoi strozzini. Non convince: condannato

Che sia completamente genuina o forse un po' troppo "romanzata" come ritenuto anche dal presidente del collegio giudicante, ha comunque impressionato, per tempismo, la deposizione resa quest'oggi in Tribunale a Lecco da un uomo finito a processo con l'accusa di bancarotta fraudolenta per l'aver "distratto" - stando al capo d'imputazione - una vettura ottenuta in leasing dalla sua società individuale, creata quale procacciatore d'affari e dichiarata fallita nel (lontanissimo) 2011 nonché per la mancata tenuta delle scritture contabili, non rinvenute dal curatore dopo il "crac". A tre giorni dalla sottoscrizione del "Protocollo d'intesa per la prevenzione e il contrasto del fenomeno dell'usura nella Provincia di Lecco", l'uomo - classe 1950, con una precedente condanna per truffa a carico, un vissuto dietro le sbarre e una "sparizione" che ha tenuto bloccato a lungo il fascicolo - ha raccontato infatti di essersi dovuto spogliare del suv al centro del procedimento su pressione proprio di una banda di "cravattari" a cui si era rivolto per ottenere liquidità in un periodo in cui, dopo la scarcerazione, si era trovato in difficoltà sul lavoro.

Dinnanzi al collegio giudicate - presidente Enrico Manzi, a latere le colleghe Martina Beggio e Giulia Barazzetta - ha asserito di aver ottenuto in prestito 15.000 euro accettando un tasso di interesse del 20% mensile, trovandosi poi a dover pagare, nel giro di poco anche "gli interessi sugli intessi", sotto minaccia, fino all'11 settembre 2008, giorno in cui, sarebbe stato prelevato dall'abitazione in provincia di Vicenza dove viveva, portato in un casolare e, al cospetto di un superiore del suo "strozzino", ulteriormente messo alle strette - "lui è stato troppo buono, io ti avrei già spaccato le gambe" - per poi vedersi privato dell'auto, con l'impegno, da parte dei brutti ceffi a cui si era rivolto, di continuare a saldare le rate rimanenti del leasing. Un impegno, ovviamente, non mantenuto. Da qui, al momento della sentenza di fallimento, la segnalazione alla Procura da parte del curatore per la supposta distrazione della macchina, non trovata nelle disponibilità della società - che aveva sede a Rovagnate, motivo per cui il processo è incardinato a Lecco - e mai restituita alla società di leasing. Una versione dell'accaduto, quella resa quest'oggi in Aula, decisamente più "romanzata" rispetto a quella che lo stesso imputato aveva fornito al curatore. La paura, la ragione posta dal 71enne, alla base di tutte le scelte compiute, dalla mancata denuncia dell'accaduto alla "reticenza" nell'esporre la situazione nella sua completezza a chi stava cercando di far luce sulla fine della sua impresa. Una ricostruzione che non ha convinto. Il PM d'udienza - il dr. Flavio Ricci, applicato momentaneamente a Lecco da Varese - ha chiesto la condanna dell'imputato a 2 anni e 2 mesi, riconoscendogli le attenuanti generiche come prevalenti sull'aggravante di fatto dei più fatti di bancarotta. L'avvocato Laura Bosisio, difensore dell'imputato, ha puntato tutto sulla "scriminante dello stato di necessità" e dunque sul suo essere stato vittima di estorsione, non avendo alternative se non la consegna del suv dinnanzi a suoi taglieggiatori, per chiedere l'assoluzione per la distrazione "perchè il fatto non costituisce reato", evidenziando invece l'intervenuta prescrizione per quanto attiene la bancarotta documentale. Il collegio, pur allineandosi sull'ultimo punto, per il quale ha decretato il reato estinto, ha calcato la mano per la "fraudolenta" condannando il 71enne a 3 anni, oltre al pagamento delle spese processuali. Una batosta.

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