LIBRI CHE RIMARRANNO/17: ''Il circolo Dante'' di Matthew Pearl

Onde evitare che gli occhi del docente fiammeggino di bragia, in cima alle avvertenze utili alle matricole universitarie di Lettere per non farsi sbranare all'appello dell'esame di Italiano 1 c'è quella di bandire dal proprio lessico la parola "traduzione".
"Signorina, legga queste terzine", le dici tu porgendole un canto dell'Inferno.
"Gliele devo tradurre?", ti chiede lei.
E tu fremi. Vorresti gridare: "Il prossimo!" e congedarla ipso facto. E invece ti ricordi di quando anche tu sudavi freddo muovendo i primi timidissimi passi in università, e chiosi con lei: "Intende ‘parafrasare', signorina, immagino, cioè ‘volgere in prosa'. Non ‘tradurre': Dante scrive in italiano. Del ‘300 ma sempre italiano, non in un'altra lingua". E vorresti spiegarle che noi italiani, unici nel panorama letterario mondiale insieme con gli islandesi (giuro!), abbiamo la fortuna di poter leggere direttamente i testi delle nostre origini, poiché la nostra lingua non è mutata in modo così radicale da rendere inattingibili i testi del Due-Trecento.
Chi faticasse oggi a comprendere le terzine dantesche si fidi del mio consiglio: invece che appendersi a testi costruiti su palafitte altissime di note a piè pagina le legga ad alta voce. Che dove non arriva il lessico arriva il ritmo, e non c'è bisogno di tradurre Dante.
Noi abbiamo questa fortuna. Gli altri hanno avuto la fortuna di menti illuminate e coraggiose che hanno tentato l'impresa.
A una di queste, il poeta Henry Wadswoth Longfellow, che nel 1865 a Boston pubblicò la prima traduzione inglese della "Divina Commedia", è dedicato il romanzo d'esordio di Matthew Pearl, "Il circolo Dante". La trama incatena una serie di delitti scanditi come i peccati e i castighi dell'inferno dantesco (come nel film "Seven"), ma affronta con la stessa suspense la tensione di un minuzioso lavoro filologico sullo sfondo dell'ostilità di Harward, protestante e conservatrice, nei confronti del sacrato poema cattolico di Dante, che ha il difetto di essere italiano come le torme di immigrati che a fine XIX sec. stavano sbarcando sulla East Coast.
Vedere un circolo di filologi e letterati alle prese con una catena di efferati delitti ha un effetto straniante, che lungi dall'essere comico non fa che approfondire ancor di più l'indagine, trasferendola dalle evidenze scientifiche e materiali alle profondità metafisiche, o alle aberrazioni più recondite dell'animo umano.
"Il circolo Dante" fa compagnia su un ideale scaffale di libreria ad altri titoli di una colta covata di emuli di Dan Brown, di thriller da topi di biblioteca: cito alla rinfusa i romanzi di Iain Pears, James BeauSeigneur, Ian Caldwell e Dustin Thomason ("Il codice dei quattro", il loro romanzo sulla "Hypnoerotomachia Poliphili", è bellissimo!), Leslie Silbert (ha scritto un bel romanzo sul caso-Marlowe), Matilde Asensi di cui ho già parlato in questa mia stessa rubrica. Tutti loro cercano di combinare Arthur Conan Doyle e Umberto Eco. E mi permetto di ricordare che del resto il protagonista del "Nome della rosa" si chiamava Guglielmo da Baskerville, come il celebre mastino del romanzo che ha come protagonista Sherlock Holmes, e prima ancora di Dan Brown è proprio Eco il vero nume tutelare di questi thriller coltissimi.
Ha dichiarato lo stesso Pearl: "Bisogna convincere i lettori che guardano alla storia della letteratura come a qualcosa di accademico, non eccitante, che invece può essere emozionante, anche pericolosa e violenta".
Io la insegno da 25 anni: non so dirvi se sia violenta, ma vi confermo che eccitante lo è.
Stefano Motta
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