Libri che rimarranno: Dante Alighieri ha fatto il pieno...per gli altri è rimasto poco

Si deve a Eugenio Montale la definizione più plastica di quel che Dante significa per la storia della letteratura: “Dante ha fatto il pieno (come direbbe un automobilista) e per gli altri la benzina è stata scarsa”. Ed è vero.
Se il Quattrocento si è alimentato di petrarchismo, e scrivere poesia non poteva prescindere da Petrarca, così come scrivere in prosa voleva dire avere come modello Boccaccio, la prima delle tre corone fiorentine, Dante, rimarrà stilisticamente inimitabile, sfuggente nella sua polifonia, per molti versi inarrivabile.

Eppure vi si inciampa volentieri a ogni svolta della letteratura, ogni volta che si prende in mano una penna per scrivere: quando è necessario essere tragici, quando si vuole riuscire elegiaci, quando si tenta di essere comici (che di tutte è sempre la cosa più difficile, se fatta con buon gusto), quando si parla d’amore e di gentilezza, o quando l’amore ci assale con i suoi dardi aspri e feroci. Dante è inferno, purgatorio e paradiso, è la gentilezza e l’onestà del sonetto proemiale della “Vita nova” e la petrosità delle rime “aspre e chiocce”, è il vento di Paolo e Francesca e il rumore digrignato dei denti del conte Ugolino che si accaniscono famelici e vendicativi sulla nuca dell’arcivescovo Ruggieri. Dante sono le ambiguità lascive del “Fiore” e le altezze rarefatte del “Convivio”, del “De Monarchia”, e la precisione del “De vulgari eloquentia”.
Incontri Dante quando la radio ti rimpalla Jovanotti, che canta (oddio, canta…) “amor ch’a nullo amato amar perdona, porco cane, lo scriverò sui muri e sulle metropolitane…”, e quando esce la voce potente di Baglioni – lui sì canta – che nel trittico della “Commedia” riassume l’esperienza delle vite di noi tutti: “in Purgatorio ne ho fatte in Paradiso è stato meglio il clima e in qualche buco d'Inferno ho rimediato buona compagnia”.




Chiunque voglia raccontare qualcosa e creda di essere il primo a farlo si troverà prima o poi a dover fare i conti con Dante, e rassegnarsi ad ammettere di esserne un emulo, più o meno bravo.
Se forse non lo fu in vita – non deve aver avuto un carattere facile, il nostro. Ma nessuna persona di carattere ha un carattere facile, del resto – in morte Dante è prodigo di sé, e generosissimo con tutti noi suoi figliocci. In tantissimi hanno attinto a lui, spillandovi una goccia di benzina, una scintilla di ispirazione, per cercare di mettersi nella sua scia.
Se la cassetta con le ossa di Dante, morto nel 1321 a Ravenna, non ebbe gran pace, nemmeno il suo nome e i suoi scritti in verità hanno avuto di che riposarsi. Lo ritroviamo sparso in rivoli innumerevoli, non tutti di valore, ma alcuni molto interessanti.
Ho deciso di dedicare i prossimi mesi della mia rubrica del martedì a passare in rassegna quei libri che hanno spillato qualcosa da Dante. Si tratterà non di studi filologici o di saggi critici, ma perlopiù di romanzi, di quella felice idea della narrativa che mischiando realtà e finzione sa catturare la curiosità di chi legge, come fa un trailer cinematografico che spinge poi ad andare al cinema (sperando si possa tornarvi il prima possibile!).
Non è detto che si debba per forza leggere subito la “Commedia”: ci si può avvicinare di lato, dopo averla incontrata in un thriller. Non è detto che si debba studiare subito il prosimetrum della “Vita nova”: ma ci si può appassionare alla vicenda di Beatrice attraverso la lettura di un romanzo delicatissimo che racconta di lei. O fare una caccia al tesoro sulle tracce del Purgatorio dantesco. O studiare la prima traduzione inglese di Longfellow mentre si risolve un giallo ingarbugliatissimo.
Parlerò di questi libri, ogni martedì: di Matilde Asensi, di Marco Santagata, di Matthew Pearl, di Dan Brown, e di qualcun altro che ancora non conoscete. Sono un’ottima entrée: poi però buttatevi sulla portata principale, che è Dante.
Stefano Motta
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.