Dr. Magni: con Draghi si passa dal dominio del virtuale cyberspazio a quello della realtà
Il dottor Enrico Magni
Ora è arrivato il Preside con i suoi prof. La bussola è quella della sobrietà, del realismo, del pragmatismo, del fare, la luce da seguire è quella europea.
Il paradosso è che si capovolge il dominio attuale, da quello virtuale del cyberspazio si passa a quello della realtà. Il virus ha la capacità di spostare le lancette, di capovolgere i paradigmi, di rimettere al centro la questione materiale su quella immateriale.
In questa fase cè la necessità di ancorare la realtà, di leggerla, di conoscerla partendo proprio dal comportamento pandemico dei singoli territori con strategie mirate per evitare sconfitte.
Nel primo grafico (La fonte dei dati è quella giornaliera della Regione Lombardia: 8 marzo 2020 – 16 febbraio 2021) si osserva la diffusione del coronavirus con 3000 (approssimativo) positivi al giorno in Lombardia.
La stessa dinamica si riscontra per i soggetti positivi al coronavirus in Provincia di Lecco. La media giornaliera è di 64 positivi covid. Il grafico è sovrapponibile a quello regionale (mancano i dati di luglio/agosto): non si registra un cambiamento di tendenza. Infatti, si sono verificati molti decessi tra febbraio–giugno, tra ottobre-novembre cè stato un picco, invece tra dicembre 2020 e febbraio 2021 si registra un andamento costante.
Il processo dinamico giornaliero è costante, non è un caso (terzo grafico: 0 è il punto medio corrispondente a 64, punteggio medio) che lo scarto dalla media sia -28: se si sommassero i dati sopra la media con quelli sotto la media, si avrebbe uno scarto di incremento cono 28 positivi ogni giorno. Sono mesi che lo scarto dalla media è -28 .
Il processo dinamico giornaliero è costante, non è un caso (terzo grafico: 0 è il punto medio corrispondente a 64, punteggio medio) che lo scarto dalla media sia -28: se si sommassero i dati sopra la media con quelli sotto la media, si avrebbe uno scarto di incremento cono 28 positivi ogni giorno. Sono mesi che lo scarto dalla media è -28 .
Questi tre grafici (con tutti i limiti impliciti) raffigurano lo sviluppo della pandemia nel territorio lecchese e sul piano sociale indicano una cosa: che dopo un anno è cambiato poco o nulla.
Vuol dire che non si sono messe in atto delle strategie mirate a governare il fenomeno. Si è lasciato tutto “in mano” a una logica ospedalecentrica sanitaria, infatti non si sono potenziati progetti e interventi di prevenzione sociale, se non quelli assistenziali che corrispondono solo ai primi bisogni.
La questione non riguarda solo la cura, ma coinvolge interventi programmatici anche da parte dei Comuni. Ci sono scelte che competono a loro, banalmente: aumento positivi/morti messa in quarantena del comune. E poiché la composizione di questo territorio è caratterizzata da piccoli comuni, è possibile prevenire il contagio con la quarantena; oppure è possibile monitorizzare la diffusione dellinfezione degli studenti (scuola/servizio trasposto) facendo delle campionature dai positivi introducendo una logica sociometrica che non richiede tamponi biologici. E possibile monitorizzare il fenomeno con un approccio più sociale/statistico.
Non basta auspicare le unità mobili sanitarie per lassistenza medica (ci vogliono, ma non ci sono), aumentare la telemedicina, lassistenza infermieristica domiciliare, tutto bene, ma bisogna incrementare la rilevazione sociale dei comportamenti. Non basta chiudere la classe, mettere in quarantena, bisogna conoscere come lo studente si muove dentro/fuori la scuola, se prende mezzi di trasporto, quale linea usa, da dove proviene …
Per ridurre il rischio sociale del contagio è necessario monitorare i comportamenti nelle scuole, nel mondo del lavoro, del tempo libero... E indispensabile trovare strategie sociali che si coniughino con il sanitario. Adesso è tutto rimandato alla vaccinazione. Ma non basta.
A San Francisco, nei primi anni ottanta, quando iniziò a diffondersi lAids, i primi interventi di prevenzione, furono di tipo sociale; attraverso monitoraggio dei luoghi di incontro degli omosessuali, dei tossicodipendenti, ritenuti i soggetti a rischio, si sono proposti comportamenti adeguati. E, dopo un lungo monitoraggio sociale e sanitario, si è capito che la trasmissione del virus HIV non riguardava solo loro ma coinvolgeva tutta la popolazione.
Vuol dire che non si sono messe in atto delle strategie mirate a governare il fenomeno. Si è lasciato tutto “in mano” a una logica ospedalecentrica sanitaria, infatti non si sono potenziati progetti e interventi di prevenzione sociale, se non quelli assistenziali che corrispondono solo ai primi bisogni.
La questione non riguarda solo la cura, ma coinvolge interventi programmatici anche da parte dei Comuni. Ci sono scelte che competono a loro, banalmente: aumento positivi/morti messa in quarantena del comune. E poiché la composizione di questo territorio è caratterizzata da piccoli comuni, è possibile prevenire il contagio con la quarantena; oppure è possibile monitorizzare la diffusione dellinfezione degli studenti (scuola/servizio trasposto) facendo delle campionature dai positivi introducendo una logica sociometrica che non richiede tamponi biologici. E possibile monitorizzare il fenomeno con un approccio più sociale/statistico.
Non basta auspicare le unità mobili sanitarie per lassistenza medica (ci vogliono, ma non ci sono), aumentare la telemedicina, lassistenza infermieristica domiciliare, tutto bene, ma bisogna incrementare la rilevazione sociale dei comportamenti. Non basta chiudere la classe, mettere in quarantena, bisogna conoscere come lo studente si muove dentro/fuori la scuola, se prende mezzi di trasporto, quale linea usa, da dove proviene …
Per ridurre il rischio sociale del contagio è necessario monitorare i comportamenti nelle scuole, nel mondo del lavoro, del tempo libero... E indispensabile trovare strategie sociali che si coniughino con il sanitario. Adesso è tutto rimandato alla vaccinazione. Ma non basta.
A San Francisco, nei primi anni ottanta, quando iniziò a diffondersi lAids, i primi interventi di prevenzione, furono di tipo sociale; attraverso monitoraggio dei luoghi di incontro degli omosessuali, dei tossicodipendenti, ritenuti i soggetti a rischio, si sono proposti comportamenti adeguati. E, dopo un lungo monitoraggio sociale e sanitario, si è capito che la trasmissione del virus HIV non riguardava solo loro ma coinvolgeva tutta la popolazione.
Dr. Enrico Magni