Brugarolo: è morta Rosalba Pirola. Aveva combattuto contro le 'sfortune' della vita col sorriso e l'ironia e mai si era arresa
Rosalba con il suo intramontabile sorriso
Questa notte, però, Rosalba Pirola ha intrapreso l'ultimo viaggio. Lei che amava viaggiare, che aveva visto tanti Paesi, ora è partita per quello senza ritorno, per ritrovare il suo Renato, morto qualche anno fa affetto dalla SLA.
La vogliamo ricordare però con l'articolo che avevamo preparato assieme giusto una settimana fa quando l'avevamo incontrata una domenica pomeriggio e proporlo così, come lei si era raccontata e come sicuramente tutti la vorranno portare nel cuore.
Rosalba è una di quelle persone che di cui ti chiedi "ma dove trova la forza per sdrammatizzare sempre?". Nel 2008 il marito Renato si era ammalato di una forma di SLA, patologia che non lascia scampo e che lo aveva portato al ricovero a villa Cedri. Nel 2009 la malattia aveva colpito lei, invece, con un cancro. La diagnosi, poi il primo intervento, il secondo, la chemioterapia con tutto quello che ne consegue e il cammino che si fa sempre più in salita. Ma Rosalba non è una che si abbatte e quindi stringe i denti, va avanti e combatte.
Entra in contatto con realtà come Faresalute e Amici di villa dei cedri. Da "utente" ne diventa presto una sostenitrice e quindi parte attiva di quel volontariato fatto di assistenza, di raccolte fondi, di mostre. Insomma si rimbocca le maniche, non si piange addosso e va avanti. Conosciutissima in frazione a Brugarolo, è un treno che non si ferma.
A settembre 2017, appena rientrata da un viaggio in America, si trova nelle vigne di Sotto il monte a vendemmiare, con alcuni parenti quando ad un certo punto capisce di non stare bene. "Zio mi sta succedendo qualcosa" fa giusto in tempo a dire poche parole. Poi la mano sinistra le cade e, pur rimanendo sempre cosciente, capisce che è qualcosa di grave. "Arriva l'ambulanza e mi dicono che mi avrebbero portato a Bergamo ma io gli ho chiesto di andare a Merate perchè abitavo lì. Vista la situazione non era possibile e così sono finita all'ospedale Papa Giovanni. Qui ho risposto a tutte le domande. Poi sono stata ricoverata e sono entrata in coma farmacologico. Di quel mese addormentata ho dei ricordi nitidi. Mio fratello che mi diceva "sorellina non morire" e io che gli facevo le corna. Mi ricordo poi che mi vedevo in una pagoda, in mezzo al fumo e c'erano dei nonni che mi venivano incontro bruciando la carcassa di un cane e questo mi dava la forza, perchè era un segnale di buon auspicio. Io piangevo e mia figlia Barbara che era accanto a me in quel momento mi ha raccontato di avere visto le lacrime. Sono stata diverse settimane in coma e devo dire che mi era piaciuto, mi aveva dato una sensazione di pace".
Rosalba con Doris, Courage e il gatto
Terminata la degenza e giunto il momento di tornare a casa, Rosalba comprende che non sarà più come prima e quindi che ci sarebbe stato da "reinventarsi". Bisognava ricominciare a vivere, in un altro modo, con degli aiuti e senza essere di peso per alcuno. Lei che per la sua famiglia e la sua amata Barbara era sempre stata un sostegno, non doveva diventare un pensiero. Inizia il periodo della riabilitazione. E la mente di Rosalba "smacchina" come si suol dire in dialetto. "Continuavo a pensare a come fare, a come organizzarmi fino a quando una notte in sogno mi è apparso Vittorio e con lui ho trovato la soluzione". Rosalba lo aveva conosciuto durante la degenza del marito Renato nel reparto per i pazienti affetti da SLA quando lei si era impegnata nell'associazione della struttura, aiutando nelle varie iniziative e per le raccolte fondi. Vittorio Fumagalli (morto a marzo 2017, ndr) era stato ricoverato per un certo periodo e anche era lui membro del gruppo. Ma oltre che socio Aido era soprattutto la colonna portante del progetto Gemma un'iniziativa a livello nazionale ma con sede a Pagnano in aiuto alle mamme in difficoltà che venivano sostenute economicamente dalle famiglie del posto.
"Una notte ho sognato Vittorio che mi ha detto di prendermi qualcuno in casa che mi aiutasse e mi ha suggerito una delle mamme del loro progetto. E così mi sono attivata e a villa Guarnazzola ho trovato Doris con il suo bimbo che, nel giro di poco tempo, si sono trasferiti da me e abbiamo iniziato una nuova vita assieme".
E quella di Doris è una storia che merita una parentesi a parte.
Il suo, infatti, è stato un viaggio della speranza a lieto fine. Partita a vent'anni dalla Nigeria, attraversa il Niger e dopo 4 giorni nel deserto, in auto, arriva in Libia. Per un mese resta in un campo profughi perchè il mare è mosso e i barconi non partono. Poi il 29 luglio, finalmente, mette piede su una zattera pronta ad attraversare il Mediterraneo. Lei e il bambino che porta in grembo e che il papà ha rifiutato. Durante la traversata incrociano una nave tedesca, vengono avvistati da un elicottero italiano fino a quando una nave col tricolore li avvicina e il carica a bordo per sbarcarli a Lampedusa il 3 agosto. Doris attraversa la penisola, arriva in Brianza e viene accolta dal progetto Gemma. Nasce il suo bimbo, che lei chiama "Courage" (coraggio in inglese, sua lingua madre) e poi dopo qualche anno il cammino si incrocia con quello di Rosalba. E inizia una nuova vita, per tutti e tre.
"Siamo una grande famiglia" ha raccontato Rosalba, seduta in poltrona, con accanto il gatto e il piccolo Courage che scorrazza per casa, con un sorriso bianchissimo da fare invidia a un fotomodello "avevo sempre avuto nel cuore il desiderio di avere un bimbo di colore da poter aiutare e, nella sfortunata di quello che mi è successo, sono stata esaudita. A volte mi chiedo che cosa ho combinato, ma poi mi dico che se è accaduto è perchè doveva andare così. Questo spirito è la mia salvezza, ne ho passate tante ed è una fortunata che io reagisca così. Non riesco proprio a lasciarmi andare, c'è qualcosa dentro che me lo vieta".
Una delle fotografie che Rosalba ci aveva inviato per mostrarci le difficoltà a percorrere i marciapiedi della città
E, infatti, sulla carrozzina Rosalba percorre le vie della città, nota con dispiacere le difficoltà di un disabile a fare su e giù dai marciapiedi sconnessi ed impraticabili, cerca di mantenere l'autonomia che da sempre ha caratterizzato la sua vita. Quello che le manca, in realtà, è aiutare gli altri. "Quando ero a villa cedri con l'associazione, cercavo di essere vicina alle famiglie dei pazienti di SLA. Ci ero passata e so cosa voleva dire, ecco è l'unica malattia che mi fa paura, la morte non mi fa paura più di tanto, la SLA invece sì. Ho sempre detto ai famigliari di tenere la mano dei loro cari, di stargli vicino perchè loro lo sentono. Ecco mi manca essere lì con loro e non poterli aiutare".
Finiamo qui l'articolo, non come avremmo voluto, ma con l'ultimo suo pensiero, rivolto agli altri e alla sua irresistibile voglia di aiutarli.
S.V.