LIBRI CHE RIMARRANNO/10: ''Il codice Debussy'' di Lorenzo Della Fonte
Faccio parte di quella miriade di persone che domenica pomeriggio per tornare in auto dalla Valtellina a casa ha impiegato un tempo paragonabile a quello per raggiungere una masseria pugliese.
Non mi appassiona qui entrare nel merito della componente multifattoriale che ha generato quel serpentone indistricabile. Mi associo, d'istinto, a chi fa rilevare la dabbenaggine di allestire cantieri senza operai al lavoro e comunque mi accontenterei di non sentir pontificare contro le famiglie che, in ossequio a ogni regola, hanno legittimamente e sacrosantamente deciso di trascorrere qualche ora in montagna.
Quae cum ita sint, anche io domenica veleggiavo tra i 2 e i 6 Km/h nelle gallerie della SS 36, fissando stolidamente il posteriore di una Jaguar XE monooccupata dal solo conducente davanti a me, mentre un'altra famiglia guatava il posteriore della mia Mercy. Tutto attorno lo spettacolo delle centine in cemento, percorse da poco rassicuranti infiltrazioni nerastre, mentre le turbine della galleria rantolavano sopra di noi.
Accanto, mio figlio brontolava invocando lanciamissili dietro le luci anteriori. Ma i soldi per un Aston Martin non ce li avevo, e dunque toccava rimanere in coda.
Come cantano Ligabue ed Elisa in "Volente o nolente", "non c'è campo in questa galleria": guardare un film sullo smartphone era impossibile. Con tutto che, per scelta condivisa, mio figlio non ha uno smartphone e non lo avrà fino alla fine della terza media.
Cantare? Siam mica il pullman della gita dell'oratorio! Dire il rosario? Siam mica la scuola delle suore! Smoccolare? Ho incominciato con i santi di gennaio, in silenzio, poi mi son detto che non potevo dare cattivo esempio.
Rimaneva l'unico insostituibile strumento di intrattenimento a misura di tutto, che non abbia bisogno di connessione, che possa trasportare in mondi lontani anche se circondati dalle brutture di una galleria. Ci siamo infilati nel bagagliaio attraverso i sedili e ne abbiamo tratto i generi di conforto: cibo e libri.
Venivo dalla Valmalenco, ed è di quei luoghi che parlava il romanzo che leggevo, tra un singhiozzo in prima marcia e l'altro, "Il codice Debussy", di Lorenzo Della Fonte (Elliot, pagg. 301, Euro 17,50).
L'autore, direttore dell'orchestra dei fiati della Valtellina, ha intessuto di una musica particolare la trama di quello che potrebbe essere definito un thriller storico: siamo ad Asti, nell'autunno del '44, il lungo autunno di una guerra dal destino già segnato in cui però le foglie continuano inesorabilmente a cadere. L'ultima è una giovane domestica ebrea, inspiegabilmente trovata morta. Gli indizi lasciati dall'assassino e le tracce di una valigia dal misterioso contenuto portano il capitano dei carabinieri Giovanni Bassan a indagare nelle memorie e nei luoghi del grande alpinista Ettore Castiglioni, dalla Scala di Milano fino al confine con la Svizzera, dove faceva espatriare gli ebrei fuggiaschi, alla mia amata Valtellina, dove morì.
Da partigiano, contrabbandava con le guardie svizzere forme di formaggio (e quanto sia buono quello malenco lasciate dirlo a me!) per finanziare le operazioni di supporto alla fuga dei perseguitati politici e degli ebrei. Accusato di spionaggio, fu bandito dal territorio svizzero, dove però non cessò di mettere piede. Scoperto e privato degli scarponi e della attrezzatura da montagna, riuscì comunque a fuggire verso l'Italia senza scarpe, vestito solo di un lenzuolo e di una coperta. Era il 12 marzo del '44 quando si accasciò sulla neve del Passo del Forno, pochi metri dopo il confine di Stato. Per chi conosce la Valmalenco, si tratta della testata dietro Chiareggio, un po' a spanne a metà strada tra il rifugio Del Grande e il passo del Muretto.
I capitoli storici sulla Resistenza si alternano al racconto vero e proprio delle indagini sul delitto, in un ritmo non inesorabile ma interessante. La musica di Debussy, e quel "codice" nascosto, fanno da contrappunto allo schiocco delle mitragliatrici e ai rumori nient'affatto poetici della guerra.
Avevo iniziato più volte questo libro, nella nostra casetta di Caspoggio, perché quale luogo migliore di quello per leggere una storia ambientata proprio lì? E più volte l'avevo interrotto, un po' deluso.
La coda e il fatto di aver solo quello in valigia mi hanno costretto a terminarlo, e sono contento, e lo consiglio.
Per la cronaca, mio figlio ha letto Topolino. Tre volte, lo stesso, purtroppo.
Non mi appassiona qui entrare nel merito della componente multifattoriale che ha generato quel serpentone indistricabile. Mi associo, d'istinto, a chi fa rilevare la dabbenaggine di allestire cantieri senza operai al lavoro e comunque mi accontenterei di non sentir pontificare contro le famiglie che, in ossequio a ogni regola, hanno legittimamente e sacrosantamente deciso di trascorrere qualche ora in montagna.
Quae cum ita sint, anche io domenica veleggiavo tra i 2 e i 6 Km/h nelle gallerie della SS 36, fissando stolidamente il posteriore di una Jaguar XE monooccupata dal solo conducente davanti a me, mentre un'altra famiglia guatava il posteriore della mia Mercy. Tutto attorno lo spettacolo delle centine in cemento, percorse da poco rassicuranti infiltrazioni nerastre, mentre le turbine della galleria rantolavano sopra di noi.
Accanto, mio figlio brontolava invocando lanciamissili dietro le luci anteriori. Ma i soldi per un Aston Martin non ce li avevo, e dunque toccava rimanere in coda.
Come cantano Ligabue ed Elisa in "Volente o nolente", "non c'è campo in questa galleria": guardare un film sullo smartphone era impossibile. Con tutto che, per scelta condivisa, mio figlio non ha uno smartphone e non lo avrà fino alla fine della terza media.
Cantare? Siam mica il pullman della gita dell'oratorio! Dire il rosario? Siam mica la scuola delle suore! Smoccolare? Ho incominciato con i santi di gennaio, in silenzio, poi mi son detto che non potevo dare cattivo esempio.
Rimaneva l'unico insostituibile strumento di intrattenimento a misura di tutto, che non abbia bisogno di connessione, che possa trasportare in mondi lontani anche se circondati dalle brutture di una galleria. Ci siamo infilati nel bagagliaio attraverso i sedili e ne abbiamo tratto i generi di conforto: cibo e libri.
Venivo dalla Valmalenco, ed è di quei luoghi che parlava il romanzo che leggevo, tra un singhiozzo in prima marcia e l'altro, "Il codice Debussy", di Lorenzo Della Fonte (Elliot, pagg. 301, Euro 17,50).
L'autore, direttore dell'orchestra dei fiati della Valtellina, ha intessuto di una musica particolare la trama di quello che potrebbe essere definito un thriller storico: siamo ad Asti, nell'autunno del '44, il lungo autunno di una guerra dal destino già segnato in cui però le foglie continuano inesorabilmente a cadere. L'ultima è una giovane domestica ebrea, inspiegabilmente trovata morta. Gli indizi lasciati dall'assassino e le tracce di una valigia dal misterioso contenuto portano il capitano dei carabinieri Giovanni Bassan a indagare nelle memorie e nei luoghi del grande alpinista Ettore Castiglioni, dalla Scala di Milano fino al confine con la Svizzera, dove faceva espatriare gli ebrei fuggiaschi, alla mia amata Valtellina, dove morì.
Da partigiano, contrabbandava con le guardie svizzere forme di formaggio (e quanto sia buono quello malenco lasciate dirlo a me!) per finanziare le operazioni di supporto alla fuga dei perseguitati politici e degli ebrei. Accusato di spionaggio, fu bandito dal territorio svizzero, dove però non cessò di mettere piede. Scoperto e privato degli scarponi e della attrezzatura da montagna, riuscì comunque a fuggire verso l'Italia senza scarpe, vestito solo di un lenzuolo e di una coperta. Era il 12 marzo del '44 quando si accasciò sulla neve del Passo del Forno, pochi metri dopo il confine di Stato. Per chi conosce la Valmalenco, si tratta della testata dietro Chiareggio, un po' a spanne a metà strada tra il rifugio Del Grande e il passo del Muretto.
I capitoli storici sulla Resistenza si alternano al racconto vero e proprio delle indagini sul delitto, in un ritmo non inesorabile ma interessante. La musica di Debussy, e quel "codice" nascosto, fanno da contrappunto allo schiocco delle mitragliatrici e ai rumori nient'affatto poetici della guerra.
Avevo iniziato più volte questo libro, nella nostra casetta di Caspoggio, perché quale luogo migliore di quello per leggere una storia ambientata proprio lì? E più volte l'avevo interrotto, un po' deluso.
La coda e il fatto di aver solo quello in valigia mi hanno costretto a terminarlo, e sono contento, e lo consiglio.
Per la cronaca, mio figlio ha letto Topolino. Tre volte, lo stesso, purtroppo.
Stefano Motta