Merate: 'in scena' la storia di Francesco e Gianni, in memoria dell'eccidio delle foibe
Dopo il primo esperimento, decisamente riuscito, organizzato per il 27 gennaio, l’Amministrazione comunale di Merate ha voluto celebrare anche il Giorno del Ricordo, istituito in memoria delle vittime delle foibe, con un nuovo racconto teatrale di Davide Giandrini. “Il sentiero del padre” è stato dunque pubblicato sul sito istituzionale in streaming ieri, sabato 13 febbraio, ed è stata l’occasione per riflettere su quanti sono morti nell’eccidio perpetrato ai danni di giuliani, istriani e dalmati, sterminati nelle cavità del terreno.
“In queste foibe, a partire dall’8 settembre del 1943, con il crollo del regime fascista e fino al 1947, che sancisce il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia - racconta la voce di Giandrini, solo sul palco, illuminato da un unico cono di luce - vengono gettati i corpi di diverse migliaia di persone”. Il testo teatrale narra in prima persona le vicende di Francesco, nato a Pola nel 1936, figlio di Maria e di Gianni, di professione ciabattino.
Ripercorrendo a ritroso la sua storia e quella dei suoi genitori, Giandrini racconta di come Francesco abbia un ricordo nitido del 3 maggio 1945, giorno del suo nono compleanno in cui vide per la prima volta marciare per la città i partigiani jugoslavi, “quelli che credevamo essere i nostri liberatori”. Gianni, dopo aver subito un pestaggio, prende una decisione, non senza fatica: scappare. E così, un giorno, prende per mano il figlio Francesco e inizia con lui a camminare per i boschi, mentre mamma Maria, arrabbiata e combattiva, decide di restare a Pola.
Dopo giorni tra i freddi sentieri e le minacce che incombono da ogni parte, Francesco e suo papà arrivano a casa di Pietro, un uomo buono dagli occhi azzurri, che faceva da riferimento per i profughi in fuga, che dà loro le indicazioni per imbarcarsi per Trieste. “Siamo salvi, papà”: queste le parole pronunciate dal figlio, una volta saliti sul peschereccio che li conduce nel capoluogo friulano. A Trieste, i due trascorrono un paio di anni in un campo profughi, finché Francesco ricomincia a frequentare la scuola e suo padre viene assunto da un ciabattino locale.
Una storia a lieto fine, dunque, che Giandrini conclude con un monito: “Di questi martiri, per anni, non si è mai parlato. Nulla è stato fatto dalla nostra amministrazione per i colpevoli, nessun procedimento penale, nemmeno uno. E ben poco è stato fatto anche per i 350.000 profughi che riuscirono a fuggire, abbandonando le proprie case. Nulla è stato fatto dai nostri politici, che mangiano e mangiano. Nulla è stato fatto per Gianni, per Maria e per il piccolo Francesco".
G.Co.