LIBRI CHE RIMARRANNO/9: ''L'incontro'' di Vincenzo Cerami
Devo la lettura di questo romanzo alla mia libraia di fiducia, che ogni tanto, di sua spontanea volontà, mi dice: "ti metto da parte un libro". Vi dirò che è un'ottima strategia di marketing, perché alla fine non sono capace di dirle di no. Ma finché ci prende, sia benedetta. Si chiama Paola, non Benedetta, ma ci siamo capiti.
Scriveva Chesterton che noi "amiamo leggere i libri gialli perché ci piace fare la figura degli scemi", e vista la mia passione per i gialli dargli ragione significa ammettere che l'epiteto mi si attaglia, e non mi va. È vero però che i meccanismi narrativi delle detective stories, disseminati anche in altri libri che non da subito etichetteremmo come "gialli", sono i più subdoli ed efficaci nel tenerci avvinti alla lettura.
Faccio notare sommessamente che il libro più diffuso della storia inizia praticamente così: è misteriosamente deceduto un giovane pastore e il maggior indiziato è suo fratello contadino. Il defunto si chiama Abele, e il libro "Bibbia". Ma non lo definirei tecnicamente un "giallo".
Nemmeno "L'incontro" (Garzanti, pagg. 241, Euro 14.00) lo è. È molte più cose. È un libro di Vincenzo Cerami, anzitutto, l'autore di "Un borghese piccolo piccolo" e lo sceneggiatore di capolavori inarrivabili. Lo si ricorda per "La vita è bella" di Roberto Benigni, ma io amo i "Consigli a un giovane scrittore" (1996).
È un romanzo rischioso. Si intitola "L'incontro" ma parte con due separazioni: uno stimato docente che fa perdere le sue tracce allontanandosi dopo aver insultato uno ad uno tutti i suoi assistenti e colleghi, e una coppia di fidanzati, Lud e Mara, che vivono insieme ma si scrivono lettere in cui dicono di volersi lasciare, di voler troncare la loro storia d'amore, di "rimanere amici" per amarsi davvero.
È un romanzo polisemico, perché la parola stessa "incontro" lo è: si usa per un rapporto ma anche per una lotta, definisce l'inizio di un legame ma anche un incontro di boxe, per dire.
È una sfida di enigmistica. E non è un caso che la prefazione alla riedizione Garzanti (il romanzo è del 2005) sia di Stefano Bartezzaghi. "Oggi i libri vengono scritti perlopiù per far piangere o ridere i lettori", scrive Bartezzaghi, "i libri scritti invece per far pensare sono rivolti a una nicchia, composta però da lettori forti, anzi fortissimi". Questo romanzo è scritto per sfidare, e per far divertire: c'è un vecchio accademico, un barone universitario, che scompare senza lasciare tracce di sé se non una poesia-indovinello su una rivista di enigmistica. La legge e cerca di risolverla un altro protagonista atipico, il giovane Lud, che si metterà sulle tracce degli acrostici e dei calembour lessicali, in una caccia al tesoro attraverso i fatti di sangue del terrorismo sessantottino.
Va da sé che nemmeno sotto tortura svelerò il finale. Vi dico solo che ho letto questo libro in una notte, tenendo un dito bloccato alla pagina della poesia-indovinello, per ritornarci a ogni svolta narrativa e cercare di capire io, per primo, di risolvere la sciarada, di arrivare prima non dico dell'autore ma almeno del protagonista.
Ho fatto la figura dello scemo o sono riuscito a vincere? Di solito se ci si riesce non è perché si è dei geni, ma perché i trabocchetti sono troppo prevedibili e il libro è scritto male. Cerami scrive bene: la conseguenza su di me tiratela voi. Ma per favore non scrivetela in redazione.
Scriveva Chesterton che noi "amiamo leggere i libri gialli perché ci piace fare la figura degli scemi", e vista la mia passione per i gialli dargli ragione significa ammettere che l'epiteto mi si attaglia, e non mi va. È vero però che i meccanismi narrativi delle detective stories, disseminati anche in altri libri che non da subito etichetteremmo come "gialli", sono i più subdoli ed efficaci nel tenerci avvinti alla lettura.
Faccio notare sommessamente che il libro più diffuso della storia inizia praticamente così: è misteriosamente deceduto un giovane pastore e il maggior indiziato è suo fratello contadino. Il defunto si chiama Abele, e il libro "Bibbia". Ma non lo definirei tecnicamente un "giallo".
Nemmeno "L'incontro" (Garzanti, pagg. 241, Euro 14.00) lo è. È molte più cose. È un libro di Vincenzo Cerami, anzitutto, l'autore di "Un borghese piccolo piccolo" e lo sceneggiatore di capolavori inarrivabili. Lo si ricorda per "La vita è bella" di Roberto Benigni, ma io amo i "Consigli a un giovane scrittore" (1996).
È un romanzo rischioso. Si intitola "L'incontro" ma parte con due separazioni: uno stimato docente che fa perdere le sue tracce allontanandosi dopo aver insultato uno ad uno tutti i suoi assistenti e colleghi, e una coppia di fidanzati, Lud e Mara, che vivono insieme ma si scrivono lettere in cui dicono di volersi lasciare, di voler troncare la loro storia d'amore, di "rimanere amici" per amarsi davvero.
È un romanzo polisemico, perché la parola stessa "incontro" lo è: si usa per un rapporto ma anche per una lotta, definisce l'inizio di un legame ma anche un incontro di boxe, per dire.
È una sfida di enigmistica. E non è un caso che la prefazione alla riedizione Garzanti (il romanzo è del 2005) sia di Stefano Bartezzaghi. "Oggi i libri vengono scritti perlopiù per far piangere o ridere i lettori", scrive Bartezzaghi, "i libri scritti invece per far pensare sono rivolti a una nicchia, composta però da lettori forti, anzi fortissimi". Questo romanzo è scritto per sfidare, e per far divertire: c'è un vecchio accademico, un barone universitario, che scompare senza lasciare tracce di sé se non una poesia-indovinello su una rivista di enigmistica. La legge e cerca di risolverla un altro protagonista atipico, il giovane Lud, che si metterà sulle tracce degli acrostici e dei calembour lessicali, in una caccia al tesoro attraverso i fatti di sangue del terrorismo sessantottino.
Va da sé che nemmeno sotto tortura svelerò il finale. Vi dico solo che ho letto questo libro in una notte, tenendo un dito bloccato alla pagina della poesia-indovinello, per ritornarci a ogni svolta narrativa e cercare di capire io, per primo, di risolvere la sciarada, di arrivare prima non dico dell'autore ma almeno del protagonista.
Ho fatto la figura dello scemo o sono riuscito a vincere? Di solito se ci si riesce non è perché si è dei geni, ma perché i trabocchetti sono troppo prevedibili e il libro è scritto male. Cerami scrive bene: la conseguenza su di me tiratela voi. Ma per favore non scrivetela in redazione.
Stefano Motta