Violenza, suicidi e femminicidi in questo nostro tempo di virus
La Regione Lombardia e il Piemonte sono le aree geografiche in cui avvengono omicidi in ambito familiari, anche il territorio lecchese non è esente da queste problematiche. Ultimamente si sono verificati una serie di suicidi di donne a catena che sollecitano delle considerazioni che non riguardano soltanto i professionisti, gli operatori, ma investono le politiche sociali che sono imbrigliate attorno a schemi novecenteschi spolverati con un po’ di polvere virtuale. Un dato è certo, i femminicidi scaturiscono dentro un’organizzazione sociale ipersviluppata, iperabitata e anomica.
La dimensione pandemica si è inserita in modo forte in questo disastro facendo la sua parte. Il virus oltre a infettare, a imporre le sue leggi biologiche, sociali e psicologiche a livello globale, sollecita reazioni aggressive e violente. In prima battuta la pandemia è associata alla violenza avente un’implicazione politica, economica e sociale corrispondente a criteri di condivisione/negazione del virus. La violenza sociale oltre a manifestarsi tra gruppi opposti, per motivi apparentemente disconnessi, è frutto di una condizione di frustrazione, restrizione, limitazione, deprivazione, dipendenza che condiziona l’autonomia personale.
La violenza, per Menninger, è una manifestazione di discontrollo tra l’Io e il Sé; invece, secondo Williams, la violenza è determinata da una mappa (costellazione di morte), costituita da fattori che riguardano l’odio, l'invidia, la dipendenza da una persona con funzioni di controllo, dall'incapacità di contenere, dalla mancanza di figure buone, da esperienze tragiche infantili, da malattie dolorose, da essere stato spettatore di uccisioni, di essere una narcisista, un arrogante e un sottomesso a un capo.
Non è un caso che durante la chiusura per l'emergenza sanitaria - limitazione, dipendenza, claustrofobia, costrizione dei bisogni vitali - siano triplicati gli omicidi in ambito familiare, di coppia con un femminicidio ogni due giorni. Negli 87 giorni di lockdown per l’emergenza coronavirus (9 marzo – 3 giugno 2020) sono stati 58 gli omicidi in ambito familiare-affettivo: 44 donne (il 75,9%) e 14 uomini. Nei 279 giorni di non lockdow sono stati 60 femminicidi su un totale di 104 omicidi familiari-affettivi, mediamente su base annua, uno ogni sei giorni. Il lockdown, il coronavirus ha triplicato gli omicidi di donne.
L'omicidio non è mai un evento isolato di un individuo, al contrario, è al centro di un groviglio di una mappa, costellazione multipla. La violenza spesso nasce da messaggi che normalmente preavvertono la vittima di una crescente tensione, ma non sono percepiti/interpretati dalla stessa; invece della normale de-escalation e della canalizzazione dell'aggressività tra i contendenti verso interazioni accettabili si ha l'opposto, cioè l’escalation della violenza.
E' anche il prodotto di fattori soggettivi che riguardano la rimozione involontaria, da parte della vittima, di non vedere una serie di segnali pericolosi, oppure di coglierli ma di non avere uno spazio adeguato per evitarli. Ci sono delle connessioni tra la corteccia prefrontale, l'amigdala, l’ippocampo, la corteccia cingolata anteriore e altri specifici centri, coinvolti nel riconoscimento dei messaggi di allarme, che annunciano eventi o atti violenti.
La convivenza forzata, la limitazione del movimento, la sofferenza relazionale, l'impossibilità di muoversi fuori dall’ambiente, la dimensione situazionale limitata/inibente sono fattori che sollecitano reazioni aggressive e violente.
All'interno del contenitore relazionale/ambientale si determina una regressione primaria che produce nella coppia uno stato simbiotico che obbliga l'attaccamento, induce la dipendenza, impedisce il distacco, la separazione tra le parti e genera un conflitto situazionale patologico che favorisce la costruzione della costellazione di morte.
L'ambiguità del virus è centrale in questa dinamica mortifica, oltre a evitare l'avvicinamento (abbraccio, calore, affetto) per il contagio, riesce a trasformare lo spazio amato in uno pericoloso generando turbolenza e producendo, dentro il contesto famigliare e di coppia un atto violento, di terrore e di morte.
Le ragioni biopsicologiche che descrivono la complessità neurofisiologica, ormonale e genetica del comportamento o situazionali, com’è quella prodotta dal COVID-19, non possono giustificare il femminicidio.
La dimensione pandemica si è inserita in modo forte in questo disastro facendo la sua parte. Il virus oltre a infettare, a imporre le sue leggi biologiche, sociali e psicologiche a livello globale, sollecita reazioni aggressive e violente. In prima battuta la pandemia è associata alla violenza avente un’implicazione politica, economica e sociale corrispondente a criteri di condivisione/negazione del virus. La violenza sociale oltre a manifestarsi tra gruppi opposti, per motivi apparentemente disconnessi, è frutto di una condizione di frustrazione, restrizione, limitazione, deprivazione, dipendenza che condiziona l’autonomia personale.
La violenza, per Menninger, è una manifestazione di discontrollo tra l’Io e il Sé; invece, secondo Williams, la violenza è determinata da una mappa (costellazione di morte), costituita da fattori che riguardano l’odio, l'invidia, la dipendenza da una persona con funzioni di controllo, dall'incapacità di contenere, dalla mancanza di figure buone, da esperienze tragiche infantili, da malattie dolorose, da essere stato spettatore di uccisioni, di essere una narcisista, un arrogante e un sottomesso a un capo.
Non è un caso che durante la chiusura per l'emergenza sanitaria - limitazione, dipendenza, claustrofobia, costrizione dei bisogni vitali - siano triplicati gli omicidi in ambito familiare, di coppia con un femminicidio ogni due giorni. Negli 87 giorni di lockdown per l’emergenza coronavirus (9 marzo – 3 giugno 2020) sono stati 58 gli omicidi in ambito familiare-affettivo: 44 donne (il 75,9%) e 14 uomini. Nei 279 giorni di non lockdow sono stati 60 femminicidi su un totale di 104 omicidi familiari-affettivi, mediamente su base annua, uno ogni sei giorni. Il lockdown, il coronavirus ha triplicato gli omicidi di donne.
L'omicidio non è mai un evento isolato di un individuo, al contrario, è al centro di un groviglio di una mappa, costellazione multipla. La violenza spesso nasce da messaggi che normalmente preavvertono la vittima di una crescente tensione, ma non sono percepiti/interpretati dalla stessa; invece della normale de-escalation e della canalizzazione dell'aggressività tra i contendenti verso interazioni accettabili si ha l'opposto, cioè l’escalation della violenza.
E' anche il prodotto di fattori soggettivi che riguardano la rimozione involontaria, da parte della vittima, di non vedere una serie di segnali pericolosi, oppure di coglierli ma di non avere uno spazio adeguato per evitarli. Ci sono delle connessioni tra la corteccia prefrontale, l'amigdala, l’ippocampo, la corteccia cingolata anteriore e altri specifici centri, coinvolti nel riconoscimento dei messaggi di allarme, che annunciano eventi o atti violenti.
La convivenza forzata, la limitazione del movimento, la sofferenza relazionale, l'impossibilità di muoversi fuori dall’ambiente, la dimensione situazionale limitata/inibente sono fattori che sollecitano reazioni aggressive e violente.
All'interno del contenitore relazionale/ambientale si determina una regressione primaria che produce nella coppia uno stato simbiotico che obbliga l'attaccamento, induce la dipendenza, impedisce il distacco, la separazione tra le parti e genera un conflitto situazionale patologico che favorisce la costruzione della costellazione di morte.
L'ambiguità del virus è centrale in questa dinamica mortifica, oltre a evitare l'avvicinamento (abbraccio, calore, affetto) per il contagio, riesce a trasformare lo spazio amato in uno pericoloso generando turbolenza e producendo, dentro il contesto famigliare e di coppia un atto violento, di terrore e di morte.
Le ragioni biopsicologiche che descrivono la complessità neurofisiologica, ormonale e genetica del comportamento o situazionali, com’è quella prodotta dal COVID-19, non possono giustificare il femminicidio.
Dr. Enrico Magni