Merate, Retesalute e Piazza l'Idea insieme per 'fare memoria' con i bambini e i ragazzi

Nella serata di giovedì 28 gennaio si è tenuto l’incontro virtuale “Avere una memoria da elefante. Giovani e memoria: conoscere il passato per formare il futuro” organizzato da Retesalute e dal servizio per le politiche giovanili Piazza l’Idea. Il webinar, moderato da Gianni Di Vito di Piazza l’Idea, ha visto la partecipazione di cinque relatori: l’insegnante di scuola primaria Veruska Manenti, Simone Colombo della sezione ANPI di Vaprio d’Adda, Alessandro Quinto (Politiche giovanili PLG), la professoressa dell’Istituto Greppi Paola Fumagalli e lo studente universitario Giulio Savelli.
Come suggerisce il titolo, il tema dell’evento è stato proprio il rapporto tra giovani e memoria, esplorato grazie alle diverse specificità e competenze di ciascuno speaker. L’incontro si è aperto sulle note di Gam Gam, la canzone “simbolo” del genocidio che riprende il testo ebraico del Salmo 23 e che è stata utilizzata per introdurre l’argomento. Come ha spiegato Gianni Di Vito, l’obiettivo della serata è stato quello di “affrontare la tematica della memoria con un focus sui giovani, su come i ragazzi si approccino a questa giornata” e di farlo “a capo chino”, ovvero con un atteggiamento rispettoso e umile. “Abbiamo scelto come titolo ‘La memoria da elefante’ perché l’elefante è un animale con una memoria molto duratura. La memoria va alimentata, accompagnata, gestita e portata avanti con una testimonianza diretta. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza che ci porta a fare i conti con la storia della nostra umanità e a confrontarci con quello che fu l’olocausto nazista. E tuttora ci sono situazioni analoghe, dove gruppi etnici di minoranza sono stati portati a vivere situazioni simili e quella pagina oscura della storia rischia di ripetersi, si è ripetuta e si ripete” ha continuato Di Vito.
Per parlare e celebrare la Giornata della Memoria non è mai troppo presto e come Veruska Manenti ha sottolineato, l’importante è farlo nel modo giusto. L’insegnante ha infatti affermato che nonostante sia impegnativo e talvolta difficile affrontare queste tematiche con bambini tra i 6 e gli 11 anni, la scuola ha un ruolo fondamentale nel proporle e raccontarle, utilizzando gli strumenti più adeguati per ogni età. “I bambini più sono piccoli e più hanno le orecchie grandi, sono predisposti ad ascoltare proprio come un elefante. Possono capire benissimo che cosa è importante se la scuola si mette nella posizione di spiegare con le parole giuste. Ad essere proposta è l’etica dei valori che riguardano la Giornata della Memoria come l’amicizia e il rispetto e soprattutto l’idea che non è vero che siamo tutti uguali ma che la differenza è  una risorsa. Partendo dalla ricchezza della diversità si arriva così nelle classi più grandi ad affrontare il tema della giustizia: grazie alla strada fatta insieme i ragazzi arrivano a capire che certe cose sono giuste e altre ingiuste e si rendono conto perfettamente che cose come i campi di concentramento e le leggi razziali sono state profondamente ingiuste. Rimangono sempre stupiti e sbigottiti dall’ingiustizia e si chiedono il perché di tutto questo.  Il compito di noi insegnanti è cercare di spiegare perché certe cose sono avvenute e perché l’ingiustizia purtroppo fa parte dell’essere umano” ha raccontato Manenti.
Il testimone è poi passato a Simone Colombo che ha enfatizzato la necessità di associazioni come ANPI di rivolgersi soprattutto ai giovani in quanto sono coloro che hanno sempre meno possibilità di testimonianze dirette. Questo bisogno è stato reso evidente anche dall’allarmante dato emerso dalla più recente indagine Eurispes (Rapporto Italia 2020) secondo cui il 15,6% della popolazione italiana crede che la Shoah non sia mai esistita (contro il 2,7% del 2004). L'ANPI è quindi in costante collaborazione con le scuole, con cui organizza progetti e attività di diverso tipo, da incontri con testimoni diretti a “pellegrinaggi” ai campi di concentramento. “L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è nata ancora prima della fine della guerra. Era una componente attiva nella lotta per la liberazione e una volta finita la guerra si è presa l’incarico di tramandare questa memoria e di tenere alti i valori della nostra Costituzione. È normale che si arrivi ai ragazzi. Credo che ci sia stato a livello generazionale un grosso buco. La generazione che ha vissuto la guerra e i figli di quelli che hanno vissuto la guerra hanno portato con sé i valori che ritroviamo nella Costituzione e hanno custodito e raccontato gli orrori della guerra. Poi c’è stata la generazione di mezzo che forse queste cose un po’ le ha perse e quindi non le ha tramandate. Avendo questo grande buco generazionale, siamo arrivati a questi dati e noi facciamo memoria con i ragazzi perché non vogliamo che quella percentuale aumenti ulteriormente” ha dichiarato Colombo.
Fare memoria con i ragazzi non è tuttavia semplice, come hanno spiegato Alessandro Quinto e Paola Fumagalli. “Non significa soltanto ricordarsi della Shoah, ma vuol dire portarli su un canale di riflessione costante sulle nostre azioni e la mia paura è che si tenda a fissarsi su un solo giorno mentre si dovrebbe fare memoria tutto l’anno. Dovrebbe essere qualcosa di importante che resta dentro di noi come un peso che ci ricordi sempre un po’ cosa è successo, che cosa eravamo, che cosa siamo e dove dobbiamo andare” ha affermato Quinto. La proposta dell’educatore è quella di coinvolgere i giovani facendo fare loro “esperienze memorabili” che li aiutino a percepire quello che avviene ed è avvenuto intorno a loro per “smuovere il terreno dentro di loro e renderlo sempre più fertile perché altrimenti c’è il rischio di rimanere in un inverno continuo. Noi adulti dobbiamo allenarci ad ascoltare e saper proporre narrazioni che accendano la loro curiosità”.


La professoressa dell’Istituto Greppi si è detta d’accordo con le parole di Alessandro Quinto: “i miei studenti vengono da dieci anni di Giorni della Memoria e han già visto di tutto, foto, film eccetera. È una storia già sentita e loro provano una certa diffidenza, fatica, insofferenza anche ed è da qui che bisogna partire per pensare a una lezione sulla Shoah. I ragazzi sono insofferenti perché per loro è un argomento noto che si risolve più o meno nel cliché ‘sono morti gli ebrei nei campi di concentramento per mano dei tedeschi e dobbiamo ricordare affinché non succeda di nuovo’. L’altro motivo per cui sono insofferenti è che è un argomento che percepiscono come lontano nel tempo, dai loro interessi e dalla loro vita”. Per uscire da questo impasse, la professoressa Fumagalli ha proposto due strategie diverse. La prima è quella di “addentrarsi nella carne e nel sangue della storia”, spiegando ai ragazzi che la Shoah non è fatta, come talvolta si è portati a pensare, da eroi buoni e aguzzini cattivi. “I cattivi della Shoah nella maggior parte dei casi non sono i cattivi dei fumetti che fanno il male e godono nel farlo. Come racconta Hannah Arendt nel suo libro ‘La banalità del male’, spesso il cattivo della Shoah è un uomo comune che conduce una vita normale e che svolge quello che lui considera il proprio dovere nel modo più preciso e attento possibile convinto che stia facendo il giusto. Molte volte si pensa agli aguzzini come a quelli che hanno pianificato la distruzione di un popolo, mentre molti di loro non sono altro che persone che non si interrogano, svolgono il loro lavoro in maniera passiva obbedendo a un sistema e questo lascia basiti i ragazzi. Il cattivo da videogioco sembra molto lontano, questo invece è molto più vicino e in parte ci si può forse un pochino riconoscere”. La seconda strategia indicata dall’insegnante è stata quella di interrogarsi sull’opportunità delle Giornate della Memoria: “La prima riflessione parte dal porsi il quesito ‘Perché commemorare la Shoah?’ La risposta che viene naturale è ‘per via delle proporzioni immani’. La domanda che quindi sorge spontanea è ‘quali requisiti bisogna avere per avere diritto a una giornata della memoria? Un tot numero di vittime?’ È evidente che non si può ragionare in questi termini. Ci sono davvero delle memorie che valgono più di altre? Istituire giornate della memoria significa in qualche modo eleggere delle vittime e ovviamente anche dei colpevoli, ma questo vuol dire che dobbiamo togliere tutte le giornate della memoria non commemorando nessuno?”. Discutere e problematizzare è essenziale. Anche se non si trovano delle risposte bisogna cercare di capire i problemi legati alla memoria e capire che forse non ci sono memorie che vincono e memorie che perdono, ma a vincere è chi non dimentica la sostanza, ovvero il denominatore comune dei genocidi e delle stragi.
A conclusione dell’incontro, è proprio un giovane a prendere la parola: Giulio Savelli, ex studente dell’Istituto Greppi che attualmente frequenta la facoltà di chimica all’università. Giulio racconta dal suo punto di vista la difficoltà dei giovani di farsi davvero coinvolgere nella commemorazione dell’olocausto nazista, spiegando che spesso percepiscono il 27 di gennaio come una giornata un po’ tediosa che si ripete ogni anno. Tuttavia, si augura che anche i ragazzi capiscano davvero la portata di quello che è accaduto, proprio come ha fatto lui: durante gli ultimi anni delle scuole superiori ha infatti deciso di approfondire il tema in maniera autonoma e ha preso parte a una visita ai campi di Auschwitz I e Auschwitz II con la scuola. “Il viaggio non si è ridotto unicamente a una visita, prima della partenza sono stati organizzati un serie di eventi preparatori. Non sapevo cosa mi sarei aspettato, quali emozioni avrei provato entrando in quei luoghi visti in documentari, filmati, immagini. Una volta entrato l’impatto più forte che mi ha trasmesso la vastità di quello che è successo è stato il mucchio di capelli e oggetti personali raccolti dietro le vetrine del museo. Sono immagini fortissime che mi hanno ricordato le parole di Primo Levi: comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Giulio ha poi concluso adducendo un ulteriore motivo per cui è importante mantenere viva la memoria: “Una cosa che ho notato, con un po’ di tristezza, è che durante la visita ai campi molti altri visitatori non mi pareva stessero visitando il luogo correttamente e con il dovuto rispetto. A ogni passo scattavano foto a destra e a manca o addirittura selfie. Questo mi ha fatto riflettere sull’importanza della Giornata della Memoria e soprattutto su come affrontarla con la dovuta serietà”.
L’incontro è stato trasmesso in diretta Facebook e può essere rivisto sulla pagina ufficiale di Piazza l’Idea.
Ar.S.
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