LIBRI CHE RIMARRANNO/6: la divina commedia a fumetti di Marcello Toninelli
Tra le cose belle che il 2021 dovrebbe riuscire a portarci, oltre a una rinnovata autonomia, alla serenità vaccinale e una classe politica maggiormente degna dell'alto servizio che le compete, non v'è dubbio che ci porterà il settimo centenario della morte di Dante Alighieri, e con questa ricorrenza lo stuolo di celebrazioni, pubblicazioni, conferenze e manifestazioni, sempre che la classe politica di cui sopra non emani DPCM ad hoc, che lì sì sarebbe una commedia, tutt'altro che divina.
Se potessimo far alzare la mano ai venticinque lettori di questa mia rubrica credo che non ne troveremmo uno che non sia cresciuto sui fumetti di Marcello Toninelli, in arte e per gli amici semplicemente "Marcello".
Ricordo un pranzo velocissimo a casa mia, prima di correre entrambi in Centrale, lui per tornare a Siena dopo una mattinata con gli alunni della mia scuola, io per andare in Vaticano a tenere una conferenza. Avevo fatto uscire prima da scuola mio figlio Andrea, disegnatore in erba, consumatore bulimico di fumetti e libri, perché volevo che incontrasse il mostro sacro Marcello. Li ascoltavo parlottare tra loro, abbozzare su fogli improvvisati schizzi e strisce, discutere sul perché i dannati dell'Inferno a fumetti sono tutti col pistolino di fuori, sui "nasoni", che sono il marchio di fabbrica dei personaggi marcelliani, e invidiavo la saggia levità che solo i piccoli, o i Grandi, hanno.
Uno dei primi documenti dell'uso quasi artistico della lingua italiana è, del resto, una specie di fumetto: si trova nella basilica paleocristiana di San Clemente a Roma, ed esordisce con Sisinnio che apostrofa così i suoi servi: "Trahite, fili de le pute!".
Nella polifonia degli stili danteschi ci si dimentica troppo volentieri o troppo spesso della coloritura comico-scurrile della tenzone con Forese Donati, dell'immaginifica e allegorica deflorazione celebrata nel "Fiore", che molti critici vorrebbero non attribuibile a Dante, o del diavolo che avea "del cul fatto trombetta" e altre simili amenità.
C'è tutta una commedia umana nella Commedia che i posteri chiamarono "divina", ci sono i vizi che appartengono all'uomo più che al tempo, ed erano sette come i nani, i re di Roma, le meraviglie del mondo, le vite dei gatti, i colori dell'arcobaleno. Speriamo che dal rosso-arancione-giallo i politici di cui sopra non si incapriccino anche dell'indaco e del violetto che se no non li salva nessuno dallo squadragli in viso le fiche (sempre per dirla con Dante, ovviamente).
Nel frattempo leggiamo, e ridiamo, e guardiamoci un po' allo specchio, che nella loro comica e fragile nudità le anime della Commedia dantesca di Marcello siamo noi.
Stefano Motta