LIBRI CHE RIMARRANNO/6: la divina commedia a fumetti di Marcello Toninelli

Tra le cose belle che il 2021 dovrebbe riuscire a portarci, oltre a una rinnovata autonomia, alla serenità vaccinale e una classe politica maggiormente degna dell'alto servizio che le compete, non v'è dubbio che ci porterà il settimo centenario della morte di Dante Alighieri, e con questa ricorrenza lo stuolo di celebrazioni, pubblicazioni, conferenze e manifestazioni, sempre che la classe politica di cui sopra non emani DPCM ad hoc, che lì sì sarebbe una commedia, tutt'altro che divina.

Prima di tutti i libri che inevitabilmente verranno stampati quest'anno, e più in alto di moltissimi di loro, sta questo capolavoro che ha preso le mosse nel 1969 sulla rivista ora scomparsa "Off-Side", ha continuato a camminare sul "Giornalino", e ancora oggi svetta come qualità (e come vendite) una spanna sopra tutti il resto.
Se potessimo far alzare la mano ai venticinque lettori di questa mia rubrica credo che non ne troveremmo uno che non sia cresciuto sui fumetti di Marcello Toninelli, in arte e per gli amici semplicemente "Marcello".

Tra le piccole fortune che nella mia vita professionale mi sono state donate, custodisco come un dono prezioso il privilegio di aver lavorato con lui, che ha alimentato i miei sogni di bambino divoratore di fumetti, che ho reincontrato, io ormai adulto, lui artisticamente ancor più grande, per le vignette di un bellissimo diario scolastico che aveva come protagonista un Manzoni fanciullo, e per altri progetti. Un mio romanzo ha in copertina un disegno di Marcello, e non so se si riesce a intuire davvero cosa significhi.
Ricordo un pranzo velocissimo a casa mia, prima di correre entrambi in Centrale, lui per tornare a Siena dopo una mattinata con gli alunni della mia scuola, io per andare in Vaticano a tenere una conferenza. Avevo fatto uscire prima da scuola mio figlio Andrea, disegnatore in erba, consumatore bulimico di fumetti e libri, perché volevo che incontrasse il mostro sacro Marcello. Li ascoltavo parlottare tra loro, abbozzare su fogli improvvisati schizzi e strisce, discutere sul perché i dannati dell'Inferno a fumetti sono tutti col pistolino di fuori, sui "nasoni", che sono il marchio di fabbrica dei personaggi marcelliani, e invidiavo la saggia levità che solo i piccoli, o i Grandi, hanno.

Dopo le litografie di Gustave Doré e molto prima della meritoria operazione condotta da Benigni, le strisce di Marcello (Shockdom, 2015, 255 pagg., 25 Euro) hanno dato corpo e volto al caleidoscopio di anime della Commedia dantesca. L'hanno fatto col sorriso, con quello humour toscano, devoto ma dissacrante, "leggero" nell'accezione nobilissima del termine.
Uno dei primi documenti dell'uso quasi artistico della lingua italiana è, del resto, una specie di fumetto: si trova nella basilica paleocristiana di San Clemente a Roma, ed esordisce con Sisinnio che apostrofa così i suoi servi: "Trahite, fili de le pute!".
Nella polifonia degli stili danteschi ci si dimentica troppo volentieri o troppo spesso della coloritura comico-scurrile della tenzone con Forese Donati, dell'immaginifica e allegorica deflorazione celebrata nel "Fiore", che molti critici vorrebbero non attribuibile a Dante, o del diavolo che avea "del cul fatto trombetta" e altre simili amenità.
C'è tutta una commedia umana nella Commedia che i posteri chiamarono "divina", ci sono i vizi che appartengono all'uomo più che al tempo, ed erano sette come i nani, i re di Roma, le meraviglie del mondo, le vite dei gatti, i colori dell'arcobaleno. Speriamo che dal rosso-arancione-giallo i politici di cui sopra non si incapriccino anche dell'indaco e del violetto che se no non li salva nessuno dallo squadragli in viso le fiche (sempre per dirla con Dante, ovviamente).
Nel frattempo leggiamo, e ridiamo, e guardiamoci un po' allo specchio, che nella loro comica e fragile nudità le anime della Commedia dantesca di Marcello siamo noi.
Stefano Motta
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