LIBRI CHE RIMARRANNO/1: 'V2' di Robert Harris
Ci sono libri che rimangono sul comodino per settimane quando non per mesi, perché non "prendono". Altri che rimangono per il motivo opposto, perché non si vuole leggerne le ultime pagine e dire loro addio. Ci sono libri che rimangono negli scaffali, non letti, e altri che vengono riciclati per altri regali, confidando che il cerchio non si richiuda, prima o poi.
Regalare un libro a Natale pare essere un gesto poco impegnativo, e invece c'è sempre l'amico che poi ti chiede se ti è piaciuto, perché forse l'ha davvero scelto col cuore, e regalandoti quel titolo sperava di incontrare i tuoi gusti e voleva forse anche raccontarti qualcosa di sé.Mi piacerebbe allora dare in questa rubrica una serie di consigli di lettura, o "consigli per gli acquisti" come diceva Mike Bongiorno. Scrivo per mestiere e leggo per piacere, anche se forse sarebbe più corretto dire il contrario: cercherò di prestare un po' delle mie letture, e so già che in questo modo racconterò un po' di me. Spero di intercettare i gusti di chi ci legge. Mi piacerebbe ancor di più farne venire di nuovi, e riuscire a far incontrare libri che altrimenti non sarebbero stati avvicinati.
Iniziamo oggi, se vi fa piacere, con un romanzo appena uscito per Mondadori. Uno di quelli che sul comodino ci rimarrà poco, perché ha un tiro micidiale.
Dopo lo strano Sonno del mattino (ne avevamo parlato qui) Robert Harris ritorna alla sua materia preferita con un romanzo che, per certi versi, completa una trilogia della Seconda Guerra Mondiale, insieme con il primo, inarrivato capolavoro fantapolitico, Fatherland e col secondo Enigma.
Dopo la trilogia sulla vita di Cicerone (Imperium, Conspirata e Dictator: tre romanzi bellissimi!), anche la triade completata da V2 finirà per costituire un corpus irrinunciabile.
In V2 (Mondadori, Euro 20,00) si intrecciano le storie di un'analista britannica, incaricata di esaminare le foto aeree scattate dai ricognitori della RAF che sorvolano una Germania ormai prostrata, e quella di un ingegnere aerospaziale ante litteram, di quelli che a Peenemünde progettarono i razzi V2, ultimo velleitario tentativo di rappresaglia (fu Goebbels a battezzarli così, Vergeltungswaffe 2 ("arma di rappresaglia 2" in tedesco) da scagliare su Londra, quelli che ci arrivavano, perlomeno.
Se dal punto di vista distruttivo un Lancaster della RAF riusciva in una sola notte a scaricare sulla Germania una quantità di esplosivo pari a più di quaranta V2 (e di Lancaster ne decollavano a mazzi dalle basi britanniche, considerato che ormai la Luftwaffe era praticamente appiedata), questi missili che piombavano inarrestabili sui tetti dei quartieri di Londra, preceduti dall'onda d'urto data dallo spostamento d'aria e seguiti dalla detonazione del muro del suono violato, avevano un effetto disarmante, letale nell'impatto psicologico più ancora che in quello pratico, che pure non fu trascurabile.
Se in Enigma gli addetti di Bletchley Park dovevano decrittare i messaggi in codice degli U-boot tedeschi, qui è ancora un'analista a dover correre contro il tempo per individuare la posizione dei siti di lancio delle V2, mentre dall'altra parte assistiamo agli scrupoli di chi ha progettato quei razzi sognando che potessero portare gli uomini sulla Luna, non il tritolo sopra gli uomini.
Come si sa, è al gruppo di ingegneri di Peenemünde che URSS e USA rubarono idee per la costruzione dei razzi che portarono in orbita lo Sputnik prima, e l'uomo sulla Luna dopo. I russi arrivarono prima sui siti di lancio e portarono via un buon numero di V2, ma gli USA si accaparrarono i servigi di Wernher Von Braun, e questo fece la differenza: i cervelli contano, non gli oggetti.
Scritto col consueto ritmo tesissimo ma lineare di Harris, mai scontato, mai una concessione al patetico, mai un colpo di scena prevedibile eppure una continua tensione, drammatica nell'apparente facilità della prosa. Harris ha un understatement unico nel gestire questo tipo di storie, e non è un caso che al cinema siano state portate perlopiù da un regista raffinato come Roman Polanski (L'uomo nell'ombra, L'ufficiale e la spia, per esempio). Se lavorassi come editor e dovessi allestire la quarta di copertina dei romanzi di Harris faticherei a trarne la famosa "frase ad effetto" da sparare a caratteri grossi. In V2 però ce ne sono due. Una, veritiera e bellissima, fotografa bene il sogno spaziale, non bellico, di Von Braun, che "non costruì Peenemünde per progettare le V2, ma fece le V2 per costruire Peenemünde".
L'altra è alla sestultima riga dalla fine. E naturalmente non la svelo, né la frase né la fine.
Dopo la trilogia sulla vita di Cicerone (Imperium, Conspirata e Dictator: tre romanzi bellissimi!), anche la triade completata da V2 finirà per costituire un corpus irrinunciabile.
In V2 (Mondadori, Euro 20,00) si intrecciano le storie di un'analista britannica, incaricata di esaminare le foto aeree scattate dai ricognitori della RAF che sorvolano una Germania ormai prostrata, e quella di un ingegnere aerospaziale ante litteram, di quelli che a Peenemünde progettarono i razzi V2, ultimo velleitario tentativo di rappresaglia (fu Goebbels a battezzarli così, Vergeltungswaffe 2 ("arma di rappresaglia 2" in tedesco) da scagliare su Londra, quelli che ci arrivavano, perlomeno.
Se dal punto di vista distruttivo un Lancaster della RAF riusciva in una sola notte a scaricare sulla Germania una quantità di esplosivo pari a più di quaranta V2 (e di Lancaster ne decollavano a mazzi dalle basi britanniche, considerato che ormai la Luftwaffe era praticamente appiedata), questi missili che piombavano inarrestabili sui tetti dei quartieri di Londra, preceduti dall'onda d'urto data dallo spostamento d'aria e seguiti dalla detonazione del muro del suono violato, avevano un effetto disarmante, letale nell'impatto psicologico più ancora che in quello pratico, che pure non fu trascurabile.
Se in Enigma gli addetti di Bletchley Park dovevano decrittare i messaggi in codice degli U-boot tedeschi, qui è ancora un'analista a dover correre contro il tempo per individuare la posizione dei siti di lancio delle V2, mentre dall'altra parte assistiamo agli scrupoli di chi ha progettato quei razzi sognando che potessero portare gli uomini sulla Luna, non il tritolo sopra gli uomini.
Come si sa, è al gruppo di ingegneri di Peenemünde che URSS e USA rubarono idee per la costruzione dei razzi che portarono in orbita lo Sputnik prima, e l'uomo sulla Luna dopo. I russi arrivarono prima sui siti di lancio e portarono via un buon numero di V2, ma gli USA si accaparrarono i servigi di Wernher Von Braun, e questo fece la differenza: i cervelli contano, non gli oggetti.
Scritto col consueto ritmo tesissimo ma lineare di Harris, mai scontato, mai una concessione al patetico, mai un colpo di scena prevedibile eppure una continua tensione, drammatica nell'apparente facilità della prosa. Harris ha un understatement unico nel gestire questo tipo di storie, e non è un caso che al cinema siano state portate perlopiù da un regista raffinato come Roman Polanski (L'uomo nell'ombra, L'ufficiale e la spia, per esempio). Se lavorassi come editor e dovessi allestire la quarta di copertina dei romanzi di Harris faticherei a trarne la famosa "frase ad effetto" da sparare a caratteri grossi. In V2 però ce ne sono due. Una, veritiera e bellissima, fotografa bene il sogno spaziale, non bellico, di Von Braun, che "non costruì Peenemünde per progettare le V2, ma fece le V2 per costruire Peenemünde".
L'altra è alla sestultima riga dalla fine. E naturalmente non la svelo, né la frase né la fine.
Stefano Motta