Novate: tre settimane in ospedale e dieci giorni con la Cpap, la lotta di don Fabio al covid e al 'tempo che non passa mai'

Don Fabio Viscardi
Tre settimane secche di ricovero, 10 giorni sotto il casco CPAP, il sonno che non arriva nemmeno se messo a dura prova con la lettura di veri e propri mattoni della letteratura e un tempo che non trascorre mai e ti logora.
Ora che il peggio è passato e la paura lasciata alle spalle, pur con davanti ancora qualche giorno di riabilitazione per ritrovare le forze, don Fabio Viscardi racconta con un certo sollievo la sua degenza al San Gerardo di Monza, dove è stato appunto ricoverato per infezione da Coronavirus che gli ha aggredito i polmoni.
Le prime avvisaglie che qualcosa non andava si sono fatte sentire verso la fine di ottobre e sono poi culminate con febbre alta che non scendeva nemmeno con dosi massicce di Tachipirina, stanchezza, respiro affannoso e saturazione dell'ossigeno che pian piano calava costantemente.
Su consiglio del medico di base il sacerdote, assegnato dal vescovo alla Comunità pastorale SS. Trinità di Cesano Maderno, ma nativo di Novate brianza, prende contatti con un ospedale vicino per una lastra ma non viene ricoverato. L'indicazione è quella di curarsi a casa.
Seguono due giorni difficili,
"con febbre alta persistente e la situazione che peggiora specie a motivo del calo della saturazione" ha raccontato dalla residenza di Castronno "la sera del 28 ottobre la saturazione è a 90 per cui ho chiamato l'ambulanza che mi ha portato al San Gerardo di Monza".
All'accettazione i medici comprendono subito che il sacerdote è uno dei tanti casi affetti da covid che stanno confluendo al presidio ospedaliero. Gli fanno una lastra e il responso è scontato. Deve però attendere fino alle 3 di notte prima di essere ricoverato ed avere una sua stanza. Da quel momento iniziano la degenza e la battaglia contro la malattia.
"Sono stato in semi-intensiva e per dieci giorni di fila ho avuto il casco cpap giorno e notte. Una cosa difficile da sopportare. Sei dentro con la testa con un rumore molto forte, come di un treno che passa senza mai fermarsi. Non si riesce a riposare e il fisico si stanca".
A sfiancare è soprattutto la lentezza del tempo che non trascorre mai.
"I primi giorni avevo la febbre ed è stata dura. Ti sembra di avere molto caldo e serve molto autocontrollo per accettare la situazione. Mi ripetevo che potevo farcela, che il casco era l'unico modo per stare meglio e guarire".
A tenere compagnia e a rivelarsi davvero utile il cellulare e in particolar modo la connessione dati che ha permesso a don Fabio, come a migliaia di malati, di restare in contatto con le proprie famiglie, gli amici, il mondo esterno.
"Il tempo lungo che non passa ti sfianca e il telefono si è rivelato un po' una salvezza. Riuscivo a far sapere come stavo, ad avere notizie da fuori e dalla mia nuova parrocchia. È sufficiente qualche messaggio e ti senti vivo. Una sera che per un disguido non ho tenuto gli occhiali e ho trascorso le ore senza vederci, è stata veramente dura".

La vista dalla finestra dell'ospedale San Gerardo di Monza

I tentativi di prendere sonno con "mattoni" della letteratura non si rivelano particolarmente efficaci ma il sacerdote si aggrappa alla preghiera e le ore diventano anche l'occasione per pensare, per riflettere.
"Chiedevo una medicina di speranza, un sorriso da parte degli infermieri e degli operatori: è importante per chi si trova in ospedale senza riferimenti e magari con prospettive incerte".
Una luce in fondo al tunnel don Fabio la vede 7/8 giorni dopo il ricovero quando gli tolgono il casco per una notte. Non riesce a dormire ma sembra una liberazione. Si tratta però solo di un'illusione. I parametri scendono nuovamente e quindi si torna con la Cpap.
"E' stato un momento di grande sconforto, mi sono cadute le braccia perchè davvero ci speravo. Ero stanco, non dormivo e il pensiero che potevo fare a meno del casco davvero mi aveva risollevato il morale. Ma i medici hanno detto che era necessario tenerlo ancora e quindi avanti per altri tre giorni. Poi finalmente sono passato alla mascherina fino ad arrivare ai tubicini nel naso".
Le attenzioni e le premure che ha ricevuto nel reparto sono state davvero encomiabili e hanno fatto la differenza. "Ho avuto un'assistenza eccellente. Dal primo momento che sono entrato in ospedale, mi sono stati subito addosso e mi hanno curato con scrupolo: cortisone, flebo, antibiotici, terapie di ossigeno... È stata lunga ma è passata".
Non così per un compagno di stanza, morto dopo qualche giorno di degenza e per un altro anziano peggiorato e trasferito in rianimazione.

La residenza di Castronno dove ora sta trascorrendo la convalescenza

 

 

Qualche insegnamento da questo lungo soggiorno però don Fabio lo ha di sicuro portato a casa.
"Stavo iniziando una nuova esperienza di parrocchia. Erano due mesi che mi stavo ambientando e mi sono ammalato. È stata una batosta, frustrante direi. Accettare questa situazione di malattia e lasciare che fosse a parrocchia a prendersi cura di te, a farti sentire la sua vicinanza e non il contrario non è stato facile da digerire all'inizio. Ma poi il Signore mi ha detto che non dovevo preoccuparmi e che questa era la condizione necessaria per imparare a restituirle affetto e a prendermi cura di lei".

Ora nella sua stanza della casa di convalescenza don Fabio sta ritrovando pian piano le forze e la tranquillità che il covid gli aveva tolto. Il respiro non è ancora tornato stabile e fluido, ci vorrà un po' ma il peggio è passato. A contribuire alla ripresa, oltre all'assenza di febbre, alla saturazione tornata ai parametri di sicurezza, a qualche attività che può svolgere quotidianamente, ci sono anche buone pietanze che rispetto al "magro" dell'ospedale fanno davvero la differenza.

S.V.
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