In questa estate di San Martino il Virus ha dato scacco ai sacri totem di medicina e tecnologia biomedica
Nulla di nuovo sotto il sole dell'estate di San Martino di Tours che divise il suo mantello per coprire il corpo metà nudo di un mendicante per salvarlo dal freddo intenso e dall'ipotermia.
E' una vecchia storia che compariva sul libro di lettura di seconda o di terza dell'elementare per educare gli alunni stipati in classi di trentacinque scolari divisi in tre quartieri a condividere il plus posseduto, che poteva essere un frutto, un formaggino per la ricreazione, con un compagno sprovvisto, oppure condividere l'ombrello quando pioveva per evitare che si bagnasse: condividere significa possedere insieme, partecipare insieme, offrire del proprio ad altri.
E' una storia che fa parte della memoria di una generazione cresciuta dopo l'occupazione nazifascista, in un clima post-fascista che dalle macerie presenti e dalla situazione apprendeva cosa fosse la miseria, la disuguaglianza, il benessere fuori e dentro la scuola. San Martino raffigurato sul cavallo bianco, con la sua spada, il suo elmo intento a tagliare il mantello, rappresentava il potere, la ricchezza, la forza, il dovere. Era un'icona pregnante di una certa cultura paternalista ma nello stesso tempo invitava a dare e a offrire il proprio avere.
A differenza d'allora, l'estate di San Martino oggi ci offre un paesaggio sociale che assomiglia più all'Urlo di Eduard Munch, a L'Isola dei morti di Bocklin con il sottofondo cacofonico delle sirene delle autoambulanze che si aggirano come delle Lamborghini mutanti tra le vie della città. E dai monitor disseminati in tutte le case, nelle metropolitane, nelle piazze, si sentono voci di politici, personaggi vari sconnessi, schizofrenici, allucinati, deliranti incomprensibili e inaccettabili: questo modo d'essere produce soltanto distanziamento, divisione, separazione e caratteropatie collettive aggressive. Paradossalmente, per quanto mi riguarda, erano più dolci e accettabili le voci dolorose e assordanti dei vecchi corridoi dei manicomi, delle chiavi martellanti delle carceri e degli attuali reparti psichiatrici.
La generazione di quarantenni, cinquantenni che sta governando questo paese è figlia del benessere economico, del narcisismo galoppante, del mito dell'homo economicus, del mito self-made man, del tool show, dell'immagine e confonde la realtà reale, materiale con qualcosa d'altro.
La disgrazia vuole, che proprio in questo momento, questa classe di politici, imprenditori, amministratori, distribuita a vari livelli, sia costretta a confrontarsi con una situazione pandemica mondiale, globale, ma si sta comportando come se stesse giocando a una partita a videogiochi, a una simulazione e nel frattempo la situazione pandemica peggiora.
La pandemia inoltre ha messo in scacco il sacro totem della medicina, della tecnologia biomedica. La politica, il potere economico l'avevano messa al centro, sicuri che fosse in grado di affrontare qualsiasi dilemma biologico e naturale, invece ha dimostrato la sua fragilità, la sua natura.
I vari poteri, sicuri dell'onnipotenza della medicina e della pillola blu, hanno scardinato i presidi sociosanitari indispensabili e fondamentali per prevenire. Nel nome della certezza dell'alta specializzazione o frammentazione si sono potenziati gli ospedali come gli unici luoghi di cura.
Il potere politico e biomedico stanno perdendo affidabilità. Nel frattempo il potere economico sta schiacciando l'acceleratore rischiando di generare altra insicurezza sociale.
Non è il momento di un conflitto sociale: il vincitore sarebbe solo il virus; c'è la necessita di affrontare la complessità dei vari sistemi con delle nuove strategie.