Merate, Ronzinante: l'ultimo show del V Festival di teatro in scena, rimandati gli altri appuntamenti

Una delle cose belle del teatro (di quelle che speriamo possano esserci restituite presto, quando questa recrudescenza pandemica sarà - definitivamente, confidiamo - terminata) è che a volte la scena già parla da sola, prima ancora che un attore pronunci la prima battuta. È questo il caso di A Republica dei Mati, andato in scena al "Giusi Spezzaferri" domenica 25 ottobre nell'ambito del V° Festival nazionale "Città di Merate" per la regia di Roberto Cuppone, anche autore del testo, con Gigi Mardegan (Il Satiro Teatro, Treviso).
Lo spettacolo inizia per la verità con una breve scena introduttiva a sipario chiuso, ma quando la tela si apre già siamo appunto a Treviso, in Vicolo dell'Oro, quartiere San Nicolò, grazie alla grande riproduzione di una fotografia di ottant'anni fa in cui l'acciottolato che si perde nella prospettiva della strada avvolge il protagonista e dà l'impressione di allungarsi sino alla platea. Lì, in quello che potrebbe essere uno slargo, o una piazzetta, ecco il "mato de guera" che - vestito di stracci, caschetto da ciclista - racconta di sé attraverso una pagina di storia che si impernia sì sul 18 aprile 1948, giorno dell'elezione del primo parlamento della Repubblica, ma si allarga per raccontare violenze, stragi, torture di prima e durante il conflitto (il fascismo, la disastrosa ritirata tedesca, le centinaia di eccidi di civili) e di dopo (le vendette, spesso sommarie, che dalla marca trevigiana arrivarono a raggiungere il triangolo rosso dell'Emilia).


Bravissimo il protagonista del monologo, capace di reggere il peso non indifferente delle parole che si trova a pronunciare. Bravissimo anche per "come" lo fa: mulinando - ora furiosamente ora quasi danzando - le sue pedalate sulla bicicletta-carretto da cui di tanto in tanto scende ed estrae oggetti che mai sono casuali e che reggono con altrettanta forza la messa in scena: cappelli (da prete e da carabiniere, il fez fascista), poi una vecchia stadera, il trombone ammaccato di un grammofono, un impermeabile sporco e a pezzi, un ceppo, una mannaia, una gabbia per uccellini da richiamo. Il sapiente uso delle luci, che ingigantiscono l'ombra del ciclista folle e straccione, ma anche portatore di profonde verità ("i matti non dicono bugie", sentenzia a un certo punto) dà ulteriore forma a uno spettacolo che dura poco più di un'ora ma sembra estendere il proprio potere molto più in là. E si allarga infatti sino all'ultima toccante scena in cui Mardegan - pur continuando a rimanere solo sul palco - riesce a instaurare un dialogo con un ospite invisibile che nelle mani (o sulle labbra) di un attore meno bravo sarebbe potuto essere pericolosamente didascalico, e che invece diventa riassunto, sentenza, monito ed eredità che gli spettatori possono portarsi a casa per meditarci sopra e provare a non dimenticare.


Il pubblico (nonostante questi tempi difficili presente nei limiti della capienza concessa) coglie, recepisce, e chiude la serata con un applauso lungo e intenso, che arriva a commuovere il protagonista e a fargli dire qualche parola di ringraziamento alla fine, fatto quantomeno inconsueto nel contesto teatrale, dove normalmente è lo spettacolo a dover parlare per sé.
Al momento si è deciso di rinviare a data da destinarsi i rimanenti spettacoli della rassegna ma l'intenzione è quella di proseguire da gennaio, o comunque non appena sarà possibile ripristinare l'accesso agli spettacoli. A tale proposito Ronzinante Teatro ha espresso profonda amarezza per una ottusa decisione del Governo di chiudere attività (quelle di cinema e teatri) che fino ad oggi e, sicuramente, più di tante altre categorie, hanno adempito in modo esemplare alle disposizioni e normative sanitarie. Senza dimenticare che il benessere psichico derivante dalla cultura contribuisce in maniera essenziale al benessere fisico, di cui oggi più che mai, c'è necessità. Ma, tant'è: ecco il teatro, questo mondo a parte con regole tutte sue ed eccezioni che possono essere meravigliose da applicare. E il teatro ha fatto ancora una volta il suo dovere e ha saputo compiere il miracolo di cui è capace. Tutto perfetto. E in attesa di poter ricominciare: sipario.
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