Prof. Stefano Motta: Fontana ha ragione, ci si fermi. E ai miei studenti dico, se non ci vediamo più (dal vivo), buon Natale
C'è stato un tempo in cui smettevo la cravatta e il panciotto da preside e vestito da Babbo Natale (con pancia FINTA) passavo in rassegna le classi della Scuola dell'Infanzia e, a dire il vero, anche quelle della Primaria e delle Medie, distribuendo sorrisi, caramelle e "oh-oh-oh".
Oggi indossavo camicia a bastoncino azzurro, cravatta a pois rosa glicine, panciotto di alpaca blu, quando invece ho fatto ai miei alunni gli scaramantici auguri di Buon Natale.
Prima di tuffarmi in auto per correre a casa a pranzare col mio maggiore, quarantenato in DAD per "contatto con positivo", sono passato a salutare la segretaria, ho scambiato due chiacchiere in amministrazione e col bidello, che mi ha aperto il cancello, e ci siamo augurati le meglio cose per Natale, Capodanno e Befana compresa.
Anche loro erano mascherati come me, ma nessuno da Babbo Natale.
C'era nell'aria stamattina, sin dal rito della misurazione della febbre in accesso alla prima ora, una specie di magone, e non era il clima uggioso di una giornata autunnale. Ne parlavo con i ragazzi di quinta superiore: "Ci hanno già fregato l'anno scorso", mi dicevano. "Hanno detto una settimana, poi due, poi un mese, poi fino a giugno. Così fanno anche adesso: prima fino a metà novembre, poi fino al ponte dell'Immacolata, poi Natale è lì dietro l'angolo."
"Fregàti" hanno detto, testuale.
Ma non come i bambini dell'asilo, che gli anni scorsi mi tiravano la barba e mi dicevano: "Non ci freghi: tu non sei Babbo Natale, sei il preside!", perché loro lo dicevano con un sorriso complice e divertito, strizzandomi gli occhi.
Mai avrei creduto di arrivare a quarantacinque anni a difendere l'operato di un politico di provenienza leghista, eppure non riesco a dare torto al governatore Fontana. Non riesco più a fidarmi di un ministro dell'Istruzione che ha gettato denari in banchi semoventi, che in primavera ha inalberato il vessillo della DAD e adesso la vitupera, che dimostra un'impreparazione imbarazzante ogni volta che esterna le sue opinioni. Non riesco a fidarmi di un presidente del Consiglio in perenne ricerca di capri espiatori e visibilità mediatica, che emana decreti come fosse alla fiera dell'Est, che dà sette giorni di tempo a palestre e piscine come faceva mia mamma con me da piccolo quando mi avvertiva: "alla prossima le prendi".
Io e i miei alunni vogliamo essere trattati da esseri pensanti. Ed essere salvaguardati da chi si è assunto la responsabilità di governare il Paese. Non ci fregheranno da qui alle prossime settimane: ci hanno già fregati nei mesi scorsi, persi tra inattività e scelte sbagliate.
Si sono ingineprati in una selva di decisioni contradditorie e scomposte, come un passero invischiato che più si agita più si impastoia. Lo scriveva già Ariosto nel "Furioso": "come l'incauto augel che si ritrova / in ragna o in visco aver dato di petto, / quanto più batte l'ale e più si prova / di disbrigar, più vi si lega stretto" (XXIII, ott. 105), ma evidentemente nell'emergenza non c'era tempo per abbeverarsi alla sapienza dei classici.
Per questo ha ragione il governatore Fontana: ci si fermi. Punto. Per colpa di Tizio e per insipienza di Caio, i dati di realtà non permettono altro.
E si dica una buona volta la verità agli studenti, senza lasciarli con quella sensazione traballante che consiglia, nel dubbio, di camminare rasomuro per evitare spiacevoli fregature. Non so se mi sono spiegato.
Ci sono eventi e periodi che rappresentano nel continuum storico delle cesure epocali. Ne parlavo a pranzo con mio figlio che stava studiando storia: "Se il Medioevo inizia nel 476 e finisce nel 1492 - mi diceva - e l'Età Moderna finisce nel 1789, l'Età Contemporanea quando finisce? Perché noi non siamo mica contemporanei dei rivoluzionari francesi...".
E io a spiegargli che le date così secche sono solo delle sommarie facilitazioni didattiche, che il passaggio da un'età all'altra è fluido, opaco, spesso in divenire. E a pensare che nei libri di storia (ci saranno ancora i libri?) fra tre-quattrocento anni il 2020 costituirà il nuovo discrimine tra un prima e un dopo. Si dica ai nostri giovani che stanno vivendo, non per scelta, un momento epocale, si colga la visione più ampia, di fronte alla quale qualche mese di DAD non sarà la fine del mondo.
E se non ci vediamo più (dal vivo), buon Natale.
Oggi indossavo camicia a bastoncino azzurro, cravatta a pois rosa glicine, panciotto di alpaca blu, quando invece ho fatto ai miei alunni gli scaramantici auguri di Buon Natale.
Prima di tuffarmi in auto per correre a casa a pranzare col mio maggiore, quarantenato in DAD per "contatto con positivo", sono passato a salutare la segretaria, ho scambiato due chiacchiere in amministrazione e col bidello, che mi ha aperto il cancello, e ci siamo augurati le meglio cose per Natale, Capodanno e Befana compresa.
Anche loro erano mascherati come me, ma nessuno da Babbo Natale.
C'era nell'aria stamattina, sin dal rito della misurazione della febbre in accesso alla prima ora, una specie di magone, e non era il clima uggioso di una giornata autunnale. Ne parlavo con i ragazzi di quinta superiore: "Ci hanno già fregato l'anno scorso", mi dicevano. "Hanno detto una settimana, poi due, poi un mese, poi fino a giugno. Così fanno anche adesso: prima fino a metà novembre, poi fino al ponte dell'Immacolata, poi Natale è lì dietro l'angolo."
"Fregàti" hanno detto, testuale.
Ma non come i bambini dell'asilo, che gli anni scorsi mi tiravano la barba e mi dicevano: "Non ci freghi: tu non sei Babbo Natale, sei il preside!", perché loro lo dicevano con un sorriso complice e divertito, strizzandomi gli occhi.
Mai avrei creduto di arrivare a quarantacinque anni a difendere l'operato di un politico di provenienza leghista, eppure non riesco a dare torto al governatore Fontana. Non riesco più a fidarmi di un ministro dell'Istruzione che ha gettato denari in banchi semoventi, che in primavera ha inalberato il vessillo della DAD e adesso la vitupera, che dimostra un'impreparazione imbarazzante ogni volta che esterna le sue opinioni. Non riesco a fidarmi di un presidente del Consiglio in perenne ricerca di capri espiatori e visibilità mediatica, che emana decreti come fosse alla fiera dell'Est, che dà sette giorni di tempo a palestre e piscine come faceva mia mamma con me da piccolo quando mi avvertiva: "alla prossima le prendi".
Io e i miei alunni vogliamo essere trattati da esseri pensanti. Ed essere salvaguardati da chi si è assunto la responsabilità di governare il Paese. Non ci fregheranno da qui alle prossime settimane: ci hanno già fregati nei mesi scorsi, persi tra inattività e scelte sbagliate.
Si sono ingineprati in una selva di decisioni contradditorie e scomposte, come un passero invischiato che più si agita più si impastoia. Lo scriveva già Ariosto nel "Furioso": "come l'incauto augel che si ritrova / in ragna o in visco aver dato di petto, / quanto più batte l'ale e più si prova / di disbrigar, più vi si lega stretto" (XXIII, ott. 105), ma evidentemente nell'emergenza non c'era tempo per abbeverarsi alla sapienza dei classici.
Per questo ha ragione il governatore Fontana: ci si fermi. Punto. Per colpa di Tizio e per insipienza di Caio, i dati di realtà non permettono altro.
E si dica una buona volta la verità agli studenti, senza lasciarli con quella sensazione traballante che consiglia, nel dubbio, di camminare rasomuro per evitare spiacevoli fregature. Non so se mi sono spiegato.
Ci sono eventi e periodi che rappresentano nel continuum storico delle cesure epocali. Ne parlavo a pranzo con mio figlio che stava studiando storia: "Se il Medioevo inizia nel 476 e finisce nel 1492 - mi diceva - e l'Età Moderna finisce nel 1789, l'Età Contemporanea quando finisce? Perché noi non siamo mica contemporanei dei rivoluzionari francesi...".
E io a spiegargli che le date così secche sono solo delle sommarie facilitazioni didattiche, che il passaggio da un'età all'altra è fluido, opaco, spesso in divenire. E a pensare che nei libri di storia (ci saranno ancora i libri?) fra tre-quattrocento anni il 2020 costituirà il nuovo discrimine tra un prima e un dopo. Si dica ai nostri giovani che stanno vivendo, non per scelta, un momento epocale, si colga la visione più ampia, di fronte alla quale qualche mese di DAD non sarà la fine del mondo.
E se non ci vediamo più (dal vivo), buon Natale.
prof. Stefano Motta