Covid: quello che possiamo fare per prevenire il danno e non cadere nel buco nero della rianimazione

E' banale dire che la situazione che stiamo vivendo è complessa e complicata, però anche la banalità ha bisogno di una forma, un pensiero, un disegno, un gioco per evitare che ci incateni nel nostro mondo monosillabico. Le indicazioni dell’ultimo DPCM, riguardante il covid-19, sollecitano molte perplessità, così pure le decisioni della Regione Lombardia di chiudere di notte: obiettivamente è difficile capire la ratio.
C’è stato, come sempre, un vuoto decisionale e una incapacità organizzativa impressionante di tutto il sistema. Non ci sono scuse, attenuanti sia per il Governo sia per la Giunta Regionale: siamo messi male. La risoluzione del problema non sta nel rigettare sull’individuo tutte le colpe, questo è un segno di impotenza, insicurezza di chi è  dentro il palazzo del potere.
Non bastano predicatori epidemiologici, virologici, bisogna metter in campo sociologi di comunità, psicologi sociali, statisti, matematici, strateghi dell’organizzazione per potenziare e finalizzare gli obiettivi degli operatori sanitari. L’impegno maggiore organizzativo va sviluppato sul territorio, bisogna impostare un’assistenza telematica con i servizi sociali del comune per chi è in isolamento o autoisolamento; va incrementata la videomedicina a distanza da parte dei medici di base; va superata la concezione ospedalecentrica.
Non è solo una questione di finanziamenti, è una questione di organizzazione, di ingegneria sociale che va messa in atto. Non si può chiedere al medico di base o all’internista di pianificare obiettivi macro sanitari e sociali. La salute non può essere solo delegata ai medici, agli infermieri all’apparato sanitario: la salute riguarda il nostro corpo e la nostra mente.
Dobbiamo prevenire il danno mettendo in atto qualche piccola strategia per evitare di cadere dentro il buco nero della rianimazione.
Ogni persona dovrebbe scrivere il suo programma giornaliero per controllare in modo sistematico e maniacale quello che farà e con chi interagirà. Per far questo basta un quaderno, un diario diviso in ore dove segnare con la matita blu/rosso con chi si è stati e che cosa si è fatto; è un modo per stimolare la memoria, l’attenzione sociale, relazionale, prendere maggior padronanza di sé, gestire l’ansia e la paura. Bisogna organizzarsi.
Non è la risoluzione del problema ma è un modo per attivare la propria azione affermativa: perché  quando si vedono gli alpini disporre tende fuori dall’ospedale il sangue si raggela. Le tende sono il segno dell’inefficienza organizzativa di questa classe dirigente che governa la sanità.
Le indicazioni date dal mantra mani, mascherine, distanza sono poco funzionali se restano delle prescrizioni general generiche, perché con il passare del tempo perdono la loro funzione.
Bisogna prendersi cura di sé per evitare di superare la soglia del pronto soccorso.
Insomma, per affrontare questa situazione sociosanitaria bisogna oltrepassare la logica ospedalecentrica e medicocentrica, bisogna far interagire più competenze.
C'è la necessità che le autorità, le figure di riferimento sociale, politico e sanitario assumano in sé una funzione contenitiva dell'angoscia sociale, della separazione dei corpi.
L’infezione non riguarda soltanto il corpo come organo ma coinvolge il corpo emozionale, psichico, sociale e economico.
C'è la necessità di una maggior consapevolezza di questa situazione.
La peste a Tebe ha causato la cecità a Edipo e ha scatenato la guerra tra il figlio  Polinice ed Eteocle. La separazione, il distanziamento sociale è fondamentale ma nasconde in sé un rischio.
I nostri corpi non sono oggetti ma sono corpi emozionali.
Dr. Enrico Magni
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