Merate, il Corriere ''attacca'' la Allum: test in 3 minuti? E' più una fiction che la realtà
''Una presa in giro'', un'iniziativa gonfiata ''come la sceneggiatura di una fiction''. Accuse pesanti mosse niente meno che dal Corriere della Sera nei confronti della ''Allum'', l'azienda meratese balzata nelle scorse settimane agli onori delle cronache locali e nazionali per aver messo a punto - come sostenuto - insieme ad un professore di genetica dell'Università del Sannio, il dottor Pasquale Vito e una società biotech collegata all'ateneo campano, la Genus Biotech, un tampone in grado di rilevare un eventuale contagio da coronavirus in appena tre minuti.
Secondo la ricostruzione del giornalista Mario Gerevini che ha firmato l'articolo apparso quest'oggi sull'edizione online del quotidiano milanese, alla sezione economia, le lacune rispetto a quanto presentato lo scorso 9 settembre nella sala conferenze dell'API di Lecco (l'associazione delle piccole imprese alla quale la Allum è iscritta da oltre 40 anni e che ha gestito la parte comunicativa e di risonanza del progetto) sarebbero diverse. A partire dallo stato di salute della ditta meratese, che è ''una piccola azienda in difficoltà (120 mila euro di fatturato e 121 mila di perdita), produce lampade, magari si risolleverà ma come possa reinventarsi il business dalla sera alla mattina è un mistero'' scrive Gerevini, passando dall'approvazione del Ministero della Salute che sarebbe inventata fino al numero di tamponi pronti ad essere commercializzati, 20 milioni totali, che non risulterebbe aderente alla realtà. Nel cercare chiarimenti con i diretti interessati, abbiamo interpellato la titolare dell'azienda meratese, Stefania Magni, la quale si è tuttavia detta contraria ad avanzare repliche a quanto scritto nel suo articolo da Gerevini. ''Può dire ciò che meglio crede, ma al momento sta attaccando un'azienda che non ha ancora lanciato sul mercato il prodotto'' ha commentato Magni. ''Ci aspettiamo una valutazione sul test, quando uscirà. Sarà pronto a breve ma chiaramente avendo avuto una elevata risonanza diciamo che le aspettative sono cambiate e di conseguenza abbiamo dovuto rivedere le scadenze. Ci stiamo organizzando diversamente. L'esposizione mediatica ricevuta ci ha sicuramente stupito. Per questi dispositivi, rispetto a quanto evidentemente era stato inteso, non c'è bisogno di una validazione ministeriale, non essendo dei dispositivi medicali e non avendo invasività verso le persone''. Dall'API di Lecco la risposta al contenuto dell'articolo pubblicato dal Corriere arriva direttamente dal direttore Marco Piazza. ''Non ci sentiamo di replicare alle evidenziazioni fatte dal giornalista del Corriere, non ci sembra corretto replicare sul merito del lavoro fatto da altri'' ha spiegato. ''Per quanto ci riguarda, non abbiamo fatto altro che dare visibilità ad un'iniziativa partita da un'azienda che è nostra iscritta da oltre 40 anni. Conosciamo bene le persone che ne fanno parte e in questo senso abbiamo dato loro tutto il supporto necessario in termini di comunicazione. La titolare ha potuto verificare il contenuto dei comunicati prima della loro diffusione. Ciò che abbiamo fatto, avendo il prodotto proposto una certa sostenibilità dal punto di vista dell'innovazione e della ricerca, punti di forza dei progetti che tentiamo di sostenere, è stato mettere in condizione l'azienda e i professionisti che l'hanno affiancata in questa iniziativa di poter esprimere al meglio le loro esigenze''.
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