Merate: l'omicidio di don Roberto a Como come il sacrificio di don Isidoro nel 1991

L'omicidio di don Roberto Malgesini, il sacerdote degli ultimi della diocesi di Como, ucciso da uno di coloro che quotidianamente aiutava, riporta alla mente quello di don Isidoro Meschi, il prete meratese ammazzato a Busto Arsizio da uno dei suoi ragazzi.

Don Isidoro Meschi
L'altra mattina ad attendere la don Roberto, 51 anni, valtellinese di Cosio, in piazza san Rocco a Como, c'era Ridha Mahmoudi tunisino 53enne in Italia dal 1993, senza permesso di soggiorno dal 2014 quando si era separato dalla moglie italiana.

Era ossessionato dall'idea di essere espulso e in tutte le persone che negli ultimi anni si erano avvicinate a lui per aiutarlo vedeva ora dei nemici pronti a ordire un complotto alle sue spalle per cacciarlo. Fra costoro probabilmente c'era anche il sacerdote che la mattina partiva con la sua Fiat Panda per fare il giro dei senzatetto della città e portare loro la colazione. Martedì lo ha avvicinato chiedendogli aiuto per un festiodoso mal di denti, il sacerdote si è offerto di portarlo in ospedale una volta finito il servizio delle colazioni, poi quando si è girato lo ha accoltellato, prima alla nuca e poi al torace. Don Roberto è morto sul selciato della piazza, a nulla sono valsi i soccorsi. Il suo cuore ha smesso di battere sotto i fendenti di uno degli ultimi che lui non si vergognava di aiutare.

Era la notte del 14 febbraio 1991. Don Isidoro Meschi, classe 1945 nativo di Merate, si trovava nella comunità di Busto Arsizio con i “ragazzi”, con problemi psichici e di tossicodipendenza, che lui seguiva da tempo. A loro aveva da sempre dedicato anima e corpo, li vedeva fragili, smarriti, con disturbi della psiche che li rendevano spesso inquieti, violenti, intrattabili. Ma per l'animo buono e mansueto di don Isidoro erano semplicemente persone che, più di altre, avevano bisogno di attenzione e comprensione. Quelle attenzioni che il sacerdote aveva sempre riservato anche a Maurizio Debiaggi, il suo carnefice. Quella sera l'uomo esce di casa, avvertendo la madre che sarebbe andato a regolare i conti con il prete. La donna, conscia delle condizioni psichiche del figlio e della sua potenziale pericolosità, avverte don Isidoro dell'arrivo del giovane e gli dice di prestare attenzione. Don Lollo, come tutti lo chiamavano, però, non ha paura del “prossimo” e quando apre la porta e si trova davanti Maurizio che lo aggredisce verbalmente, invece di mettersi al riparo cerca di calmarlo. In preda a una sorta di delirio Debiaggi estrae un coltello e lo pugnala al cuore. Muore sull'auto che, invano, sta tentando una corsa disperata verso l'ospedale. Anche lui morto sotto i colpi del prossimo che stava servendo, di uno dei tanti ultimi a cui per anni aveva dedicato la vita.

I funerali vengono celebrati da 150 sacerdoti e due vescovi con una folla di 20mila persone. Il cardinale Carlo Maria Martini nella Messa di suffragio aveva parlato di una morte che rappresentava un segno evangelico in un mondo distrutto dall'odio, una morte da prendere come esempio di carità estrema verso gli ultimi. Parole molto simili a quelle pronunciate da Papa Francesco all'indomani della morte di don Roberto.

Per don Lollo è stato avviato il percorso per aprire la causa di beatificazione, grazie ad una serie di testimonianze raccolte sulla persona, il carisma e l'opera sopravvissuta alla morte. Ne è nata una associazione “Amici di don Isidoro” che si occupa di trasmettere la sua memoria. Il prossimo 14 febbraio ricorreranno trent'anni dalla sua morte e chissà che in quell'occasione la città di Merate possa tributare al sacrificio del suo cittadino un omaggio che resti ad imperitura memoria della sua figura.
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