San Zeno: 'Il nostro molto sarebbe niente, senza il poco di tanti'. Il motto della Fabio Sassi che si presenta
"Se si cura una patologia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l'esito della terapia." È questa frase il riassunto della serata, organizzata presso l'oratorio di San Zeno di Olgiate in occasione della festa patronale di Porchera, tenuta dalla onlus Fabio Sassi. A presentare i relatori e gli ospiti è stata Piera Fiecchi, membro del Consiglio della Fabio Sassi e moglie del Presidente Albino Garavaglia, che ha accolto Daniele Lorenzet, responsabile dei volontari e a sua volta consigliere, e la dottoressa Luisa Nervi. Prima di entrare nel vivo dell'argomento, la giovane flautista recentemente laureata a pieni voti al Conservatorio di Como Clara Alice Cavalleretti ha deliziato i presenti eseguendo alcuni brani.
Daniele Lorenzet
La dottoressa Luisa Nervi
Dopo il breve intermezzo musicale, Daniele Lorenzet ha ripercorso la storia della Onlus, partendo proprio dalle origini, e da quel lontano 1989 in cui il giovane meratese Fabio Sassi è morto di tumore, accompagnato ed assistito fino all'ultimo da famigliari, amici e medici che l'hanno aiutato a vivere con dignità i suoi ultimi giorni. "Tra loro c'era anche il dottor Mauro Marinari, anestesista presso l'ospedale Mandic" ha spiegato "il quale ha iniziato a voler promuovere l'assistenza ai pazienti terminali e ai loro famigliari". Dopo aver ottenuto la qualifica di Onlus nel 1998, nello stesso anno, l'équipe di Cure Palliative dell'ospedale di Merate Mandic ha richiesto all'associazione di "allestire" un hospice. Hospice non come ospizio, ma un luogo sicuro in cui i degenti potessero sentirsi a casa anche nella sofferenza. Ben presto il posto viene individuato ad Airuno, nella ex canonica di via San Francesco, dove nell'ottobre del 2002 apre i battenti l'Hospice Il Nespolo, una struttura attivissima grazie all'impegno costante di numerose realtà come aziende, banche e gruppi che hanno messo e mettono tuttora a disposizione tempo e risorse. "Il Nespolo è ancora oggi l'unico hospice in provincia di Lecco" ha chiarito Lorenzet, ricordando poi le numerosissime attività che la Fabio Sassi svolge sul territorio. Fondamentale l'operato dei volontari, che spazia dall'assistenza domiciliare all'assistenza dei malati di SLA - nata dalla collaborazione con il Dipartimento Fragilità dell'ASST lecchese - presso il cosiddetto reparto zero di Villa dei Cedri, che accoglie 14 ospiti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica, per cui si organizzano attività di gruppo per fare in modo che i giorni trascorrano positivamente. Ancora, sono numerosi i ruoli presenti all'interno del Nespolo, dove ci sono i "volontari dello stare", che fanno dunque assistenza, e quelli "del fare", che si occupano dell'accoglienza, sgravando così il carico di lavoro dello staff sanitario, e quelli che, invece, sono impegnati nella manutenzione.
Ci sono poi le attività di educazione alla solidarietà, che la Fabio Sassi mette in campo per la formazione nelle scuole, per spiegare a docenti e studenti l'esperienza della malattia, e più recentemente la onlus si è aperta anche a progetti di alternanza scuola - lavoro, personalizzati in base alle necessità e alla preparazione degli alunni. "Svolgiamo inoltre il supporto al lutto" ha proseguito Lorenzet "per i parenti di nostri ospiti ma anche sul territorio, con attività che vanno dai gruppi di psicoterapia alla presa in carico individuale, per fare in modo che la persona riesca a superare la morte di un proprio caro". Numerosissimi anche gli eventi - dai concorsi alle camminate fino ad arrivare a mercatini e tornei - e le raccolte fondi organizzate su tutto il territorio, per fare in modo che quante più persone possibili conoscano la realtà della Fabio Sassi e si interessino ad essa. Ad oggi, sono 232 i soci, 21 i dipendenti e 8 i consulenti, mentre ammontano a ben 25.300 le ore fatte dai volontari nel corso di un anno. "È fondamentale dire che essere volontari significa dare e ricevere, ed è un'attività sempre bidirezionale volta a far vivere al meglio i giorni degli ospiti". "Il nostro molto sarebbe niente, senza il poco di tanti." Daniele Lorenzet ha concluso il suo intervento ricordando questa frase del professore Franco Pannuti, fondatore di ANT, l'Associazione Nazionale Tumori, che meglio rappresenta l'idea del "prendersi cura" promossa dalla Fabio Sassi. La parola è passata poi alla dottoressa Luisa Nervi, che ha ripercorso per i presenti la storia delle cure palliative, gli obiettivi, i tempi ed i luoghi. Il termine palliativo, a cui viene spesso attribuita un'assonanza negativa, deriva dal latino pallium, mantello, e il vocabolo viene utilizzato per indicare una cura per la prima volta nel 1683, con l'accezione di un rimedio che riveste ogni male. "La fondatrice delle cure palliative è l'inglese Cicely Saunders, infermiera e medico vissuta dal 1918 al 2005" ha spiegato la dottoressa. La Saunders è stata dunque la prima a teorizzare in modo completo ed innovativo la gestione del dolore in un malato terminale. "In Italia, un pioniere delle cure palliative è stato senz'altro Valerio Ventafridda, friulano e primo a teorizzare che i malati dovessero essere curati secondo i loro effettivi bisogni".
Nel 1978, Ventafridda è divenuto presidente della Società Italiana Cure Palliative, carica ricoperta poi anni dopo, nel biennio 1997-1998, anche dal dottor Mauro Marinari, fondatore della Fabio Sassi. Assolutamente innovative per l'epoca, le cure palliative si caratterizzano ancora oggi per un intervento globale che va oltre i bisogni fisici del paziente e che abbraccia ogni necessità, da quelle emotive a quelle più pratiche, focalizzandosi sul benessere della persona e sul suo equilibrio. Inizialmente erano i pazienti oncologici quelli a cui era rivolta l'attenzione della cosiddetta équipe, concetto fondamentale ancora oggi, composta da infermiere, medico, psicologo, oss, volontari, assistente sociale e spirituale e qualunque altra figura di cui famigliari o malati abbiano bisogno. "Si curano quindi i sintomi fisici come il dolore, ma anche quelli psicologici, che portano spesso a provare ansia, solitudine, depressione e a sentirsi un peso". Dopo il primo congresso italiano di cure palliative, tenuto nel 1988, sono molti i passi in avanti fatti fino ad oggi, prima fra tutti la legge 39 del 1999 a firma di Rosy Bindi, con la quale erano stati istituiti numerosi hospice ed erano stati stanziati dei fondi per la loro costruzione. Con la legge 38, datata 15 marzo 2010, sono state aggiornate le disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, per ogni cittadino. In Italia, sono circa 250.000 ogni anno i nuovi malati che ne hanno necessità, di cui 150.000 circa quelli oncologici, 75.000 quelli affetti da altre patologie e 11.000 quelli pediatrici. La dottoressa Nervi ha poi presentato i luoghi in cui è possibile accedere alle cure, che vanno dagli ambulatori, agli hospice, fino ad arrivare alle proprie abitazioni. Fondamentale all'interno degli iter di cure palliative è la comunicazione, vista come tempo di cura e non più come un plus non necessario. Con una breve parentesi sulle sulle disposizioni anticipate di trattamento, la dottoressa Nervi ha concluso il suo intervento, con il quale è riuscita a trasmettere l'importanza di questo nuovo approccio, volto a migliorare la qualità della vita dei pazienti, piuttosto che a garantirne semplicemente la sopravvivenza.
G.Co.