ASST: l'emergenza covid affrontata da fisioterapisti e fisiatri per la prima volta a contatto con la morte. Il primario Galanti: un solo contagiato su 140 operatori al lavoro 7 giorni su 7
Nel pieno dell'emergenza coronavirus, dell'attività ospedaliera ordinaria è rimasto ben poco.
Tra i primi a ridurre le visite e poi chiudere del tutto gli ambulatori con le loro aree di riabilitazione, costretti poi a rinunciare ai reparti, il morbo che ha messo in ginocchio il mondo intero ha stravolto nelle strutture dell'ASST di Lecco anche il lavoro dei fisioterapisti, già abituati a contare nel novero dei pazienti trattati anche chi è affetto da polmonite o altre patologie respiratorie. Porre l'attenzione sulla postura, infatti, aiuta il paziente con carenze polmonari a regolare meglio l'inalazione di ossigeno e quindi a stare generalmente meglio. Quando, come capitato ai malati più gravi, si è costretti a trascorrere oltre 12 ore in posizione prona, l'aiuto di un operatore è indispensabile.
Primo a destra il dottor Renato Galanti
Per questo l'ingresso dei medici terapisti dell'unità di riabilitazione specialistica nei reparti covid ha contribuito a migliorare la condizione dei pazienti, sebbene la crisi abbia colto di sorpresa anche loro come tutti. Ad emergere dai racconti di questi medici e terapisti è soprattutto lo sconvolgimento personale che l'esperienza ha portato nelle loro vite, come professionisti ma ancor prima come esseri umani.
Il dottor Renato Galanti, primario della riabilitazione specialistica dell'ASST lecchese, ha diversi motivi per essere orgoglioso dell'unità che da anni dirige. ''A partire da febbraio, quando la situazione non era ancora del tutto chiara, nei nostri reparti abbiamo subito incominciato a fare un utilizzo molto intelligente dei dispositivi di protezione personale che avevamo a disposizione'' ha spiegato. ''Il fatto di avere avuto un solo contagio su 140 operatori significa molto. Una volta scoppiata l'emergenza abbiamo ridotto subito l'attività ambulatoriale esterna, portando al minimo i presidi di Calolzio, Oggiono e Casatenovo, mantenendo la degenza riabilitativa con 45 posti letto, lasciando pieno il presidio di Bellano. A parte le attività indifferibili, abbiamo presto chiuso tutto. Ad inizio marzo sei dei nostri tredici medici sono passati alle aree Covid. Tempo una settimana abbiamo 'perso' a Bellano sia il reparto del terzo piano che quello del primo. Ricorderò sempre la riunione drammatica dell'8 marzo in cui ai medici dei presidi di Lecco e Merate è stato chiesto il massimo aiuto per le aree covid. Lecco si è trasformato presto in un polo di rianimazione''.
''Da marzo a maggio, medici e fisioterapisti della nostra unità hanno lavorato su turni paragonabili a quelli degli Oss e delle infermiere, sette giorni su sette, supportando il lavoro infermieristico e attuando il progetto riabilitativo di assistenza ai pazienti'' ha proseguito il primario Galanti. ''Come tutti, anche noi siamo partiti da zero trovandoci davanti a diverse difficoltà. Non ci eravamo praticamente mai ritrovati a dover gestire pazienti costretti a restare per 12 ore in posizione prona, con tutto ciò che ne consegue a livello di compressione di alcune parti del corpo. Nessuno di noi sapeva come funzionasse una C-PAP (il macchinario per la ventilazione assistita dei pazienti, ndr) e lo abbiamo imparato con l'aiuto di un anestesista ed alcuni infermieri che ce lo hanno spiegato durante quello che potremmo definire un corso di aggiornamento, svolto durante una mattina in piena emergenza''.
Tra i primi ''esterni'' ad entrare nelle aree di rianimazione ''Covid'' del Mandic sono stati i fisioterapisti Rinaldo Caldirola, volto noto a Novate, con i terapisti più giovani Alessandro Penati e Andrea Vicenzi. ''Anche noi, entrati nel reparto di rianimazione, abbiamo cominciato a lavorare su due turni'' ha commentato Caldirola. ''Avendo già un pregresso consolidato di collaborazione con questa unità, siamo riusciti immediatamente ad entrare in sintonia con i 'nuovi' colleghi. Proprio per le caratteristiche della professione, la presenza nei reparti covid è stata duplice, nel senso che da una parte abbiamo aiutato i pazienti dal punto di vista motorio, essendo molto stancabili e defedati (sintomatologie tipiche del Covid-19, ndr), ma anche dal punto di vista umano.
Rinaldo Caldirola al lavoro nel reparto di Rianimazione
Nelle settimane di ricovero, per molti malati siamo stati gli unici a toccarli, banalmente''. Questa esperienza, ha proseguito Caldirola, ha contribuito a creare tra il personale un rapporto lavorativo e umano molto saldo. ''Un aspetto positivo di tutto ciò è stata la collaborazione tra gli operatori'' ha spiegato il fisioterapista meratese ''Ci siamo messi in campo anche con le nostre paure. Per il tipo di lavoro che facciamo non eravamo abituati ad incontrare pazienti così sofferenti, per non parlare di quando è successo che venissero a mancare. Ad affrontare l'impatto con la morte ci hanno aiutato moltissimo i colleghi della rianimazione. Non smetteremo mai di ringraziare per quello che hanno fatto''.
Dello stesso avviso anche il terapista Andrea Vicenzi, tra i primi con Caldirola ed un altro giovane Collega - come accennato - ad entrare nelle aree di riabilitazione covid. 'È stata senza ombra di dubbio un'esperienza al limite, sia dal punto di vista umano che professionale. In primis - ha commentato - abbiamo dovuto fare i conti con noi stessi. La morte in un contesto del genere diventa un alone che accompagna la quotidianità. Ad aiutarci è stato il supporto spontaneo di altri colleghi. Direi che è questo il bicchiere mezzo pieno di ciò che abbiamo vissuto''.
Le attestazioni di stima e riconoscenza non sono però mancate anche nei confronti dei fisioterapisti. Il primario Galanti ha citato, fra le altre, una mail ricevuta dal dottor Giuseppe Nattino dell'equipe medica anestesia e rianimazione dell'ospedale di Lecco, nella quale viene esaltato l'apporto professionale ed umano portato dai terapisti nelle aree covid.
Da sempre diverse, le peculiarità del Manzoni e del Mandic hanno inciso anche sulle modalità di inserimento dei medici nelle aree covid. Ma a cambiare repentinamente, come raccontato dai testimoni di quei giorni, in quei reparti, erano le stesse ''politiche'' con cui è stata affrontata l'emergenza. ''Ciò che si decideva al mattino, a mezzogiorno poteva già non andare più bene'' ha raccontato il dr Pietro Tavani, medico 'meratese' dell'equipe del primario Galanti. ''Dalla mera mobilitazione del paziente, pian piano sono emerse tutta una serie di problematiche che si potevano risolvere con la fisioterapia. Se prima mettevamo i pazienti seduti, siamo passati presto ad una posizione di 60°, quando intubati. Quello che all'inizio la società scientifica dava come controindicazione, diventava presto una pratica da assumere per la riabilitazione respiratoria. È così che i terapisti si sono diffusi nei reparti covid''.
''Ciò che sarà importante - ha proseguito Tavani - è capire se da questa esperienza possiamo imparare e valorizzare i nostri ospedali. Sono da sempre un difensore convinto della sanità pubblica, universale e aperta a chiunque. Allo stesso modo sono convinto che il pubblico debba occuparsi delle situazioni più difficili, come è stata l'emergenza covid. Per come è strutturata ora, con un'ottica regionale che garantisce sempre un'alternativa privata, con un convenzionato estremamente disponibile, la sanità ha bisogno di ragionare sull'essenziale, creando valore nel pubblico''.
E numerose, a tal proposito, sono state dall'esterno le dimostrazioni di supporto arrivate agli ospedali pubblici, in particolare al Manzoni e al Mandic. Il Dottor Galanti ha ricevuto in donazione dei mobilizzatori degli arti inferiori e alcuni particolari cuscini per evitare lesioni dovute al mantenimento di una postura prolungata (che l'ospedale non era riuscito a recuperare sul mercato nel difficile momento del lock-down).
Allo stesso modo, nella stesura dell'opuscolo dal titolo ''Ritorno a casa'', con suggerimenti rivolti ai pazienti dimessi dai reparti covid per la loro riabilitazione respiratoria, la struttura complessa di riabilitazione specialistica diretta dal dr Galanti lo ha realizzato - ha spiegato - anche attraverso le competenze offerti da alcune strutture esterne e l'apporto di volontari che ne hanno realizzato le grafiche e supportato la stesura.
Alberto Secci