Retesalute: sia la politica a decidere il futuro dell’azienda non i segretari comunali. E la messa in liquidazione è l’ultima opzione ragionevole

La sola idea che si deleghi ai segretari comunali la decisione sul futuro di Retesalute dovrebbe fare accapponare la pelle a quanti credono ancora al primato della politica. Diversi per competenza e orientamento è comprensibile che la gran parte dei segretari intenda percorrere la strada della liquidazione dell’azienda. Dal loro punto di vista è una soluzione lineare, che non comporta l’assunzione di responsabilità, in attesa che qualcuno stabilisca con certezza se ci furono errori gestionali o operazioni dolose.

Credere alla prima tesi per i segretari è un rischio – per quanto traspaia con nitidezza anche dalle ricerche degli esperti effettuate sulla base dei “numeri” prodotti dalla neo responsabile amministrativa – per cui meglio la seconda. Che implica inesorabilmente la messa in liquidazione della società.

E pazienza se ciò comporterà un'inevitabile caduta dei servizi alla persona sia come quantità che come qualità e se per ricostituire una nuova azienda si dovranno spendere montagne di soldi in consulenze e investire almeno un anno per dare modo ai Consigli comunali di quanti aderiranno alla nuova Asp di approvare atto costitutivo, statuto, perizie per l’acquisizione del ramo di impresa dell’attuale Retesalute e quant’altro.

Noi restiamo convinti che la strada maestra sia l’intervento immediato sull’attuale società intercomunale attraverso due strumenti, peraltro indicati già dalla Corte dei Conti: l’accantonamento delle rispettive quote di copertura delle perdite entro il 31 luglio e l’approvazione della ristrutturazione del debito che comunque vada andrà onorato. Ciò in quanto le somme che solo ora Distretto, Comunità Montana, comune di Lecco e comuni dell’Ambito meratese “rivendicano”, in passato sono state utilizzate per garantire con tariffe sotto costo  e un modestissimo contributo per abitante in conto esercizio la quantità e la qualità dei servizi. Somme quindi che i comuni avrebbero dovuto mettere a disposizione prima, posto che in merito alla suddetta quantità e qualità dei servizi, la competenza è dei loro rappresentanti in Assemblea.

Operando con la modalità del debito fuori bilancio si possono utilizzare gli avanzi di amministrazione con i quali intervenire rapidamente sia pure in una logica di rinegoziazione del rimborso dei debiti scaduti.

Altrimenti come si pensa di operare? Ricorrendo alle spese correnti? Il Consiglio di Amministrazione ha indicato la via ma le decisioni competono all’Assemblea dei Soci. Che formalmente si è espressa con un documento che poggia su due caposaldi: continuare a gestire i servizi sociali in forma associata e affidare l’organizzazione dell’attività a un’azienda pubblica. L’accenno al privato no profit è auspicabile che costituisca una apertura all’associazionismo di volontariato e non a una sistema cooperativistico che poi a livello di consorzio lavora con la logica di un’azienda privata.

A nostro sommesso parere solo un ostacolo, a quel punto insormontabile, dovrebbe obbligare i soci a liquidare Retesalute: l’interpretazione che, alla luce del parere della Corte dei Conti, occorre dare allo statuto relativamente alla possibilità di ripianare il debito.

Ma anche questo, nelle more di ulteriori approfondimenti, non dovrebbe impedire lucidamente ai sindaci di scavalcare qualsiasi altro parere e decidere in forza del mandato popolare.
Non dimenticando che:

1)    Il territorio ha dimostrato di avere lungimiranza costituendo Retesalute 15 anni fa.
2)    La scelta dell’Azienda Speciale Pubblica è ritenuta dagli esperti la migliore e statisticamente è la più diffusa in Lombardia.
3)    L’indebitamento complessivo che può ridursi ulteriormente una volta fatta piena luce sulle partite relative all’Ambito non è certo tale da mettere in crisi un comune anche di piccole dimensioni.
4)    Nessun Comune oggi, tolti Merate e Casatenovo, sarebbe in grado di riprendersi in carico i servizi alla persona che, a quel punto, dovrà delegare ad altri soggetti tutti da sperimentare almeno a livello territoriale.
5)    Un piano di rilancio c’è ma fu bocciato eppure avrebbe evitato questo pasticcio. E la cosa divertente, se non fosse drammatica è che diversi comuni ostili ora menano vanto di aver respinto quel piano.
6)    Una nuova società, a parte i tempi e i costi come abbiamo visto prima, difficilmente partirà con la medesima base attuale ma, probabilmente avrà meno soci, quindi meno volume di lavoro e pertanto minori capacità di inserire nella pianta organica i funzionari necessari al buon funzionamento aziendale. Il precedente CdA aveva visto nell’allargamento della base societaria la via maestra per raggiungere una massa critica sufficiente a sostenere gli investimenti. Tornare indietro sarebbe un guaio. Le aziende tendono a crescere non a ridimensionarsi. E’ una logica basica ma evidentemente da alcuni non condivisa. Chissà perché!
Claudio Brambilla
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