Serve un Patto per l'ospedale di Merate più del polo della scienza
Sta lentamente calando il sipario sull'emergenza Covid-19 e, seppur tenendo le dita incrociate, mi sento di dire che la situazione è ormai avviata verso la normalità o comunque, il peggio è passato. Anche all'interno dell'ospedale Mandic l'opera di riconversione dei reparti alla loro originaria vocazione è ormai conclusa, al punto che a breve la struttura verrà dichiarata “covid free”.
Presto quindi torneremo a fare i conti con i problemi di sempre del nostro ospedale, gli stessi che avevamo messo da parte quando la struttura sanitaria è stata investita dall'emergenza Coronavirus.
La drammatica esperienza che abbiamo vissuto negli scorsi mesi ha però in qualche modo mutato il sentimento dei cittadini, nei confronti del presidio ospedaliero, ma soprattutto rispetto a quanti ci lavorano. A conferma che la percezione e l'importanza che attribuiamo ad alcuni servizi viaggia di pari passo con il livello dei nostri bisogni. Questo vale per la sanità quando siamo malati, ma anche per le Forze dell'ordine quando subiamo un furto e per i Vigili del fuoco quando scoppia un incendio.
Nel caso dell'ospedale San Leopoldo Mandic di Merate potremmo dire che l'interesse attorno al presidio è stato in questi mesi legato a doppio filo al numero dei contagi da Covid-19 e quindi, per fortuna, è ormai prossimo allo zero.
Non è così per noi. Questo giornale da sempre tiene accesi i riflettori sul presidio sanitario di Merate, perché siamo consapevoli dell'importanza e del valore che la struttura rappresenta per il territorio e per chi ci abita. E siamo altrettanto convinti che una politica aziendale esasperata che si pone come unico obiettivo il rispetto dei budget, finirebbe per “strangolare” il nostro nosocomio.
Recentemente, mio malgrado, ho dovuto ricorrere al nostro ospedale per motivi di salute. Per una volta mi sono quindi trovato dalla parte del paziente.
Mi sono rivolto al Pronto soccorso per un piccolo problema che ritenevo addirittura banale. Di parere opposto il mio medico, la dottoressa Maria Ines Riva, che ha invece insistito perché mi sottoponessi a degli accertamenti. Neanche a dirlo, ha avuto ragione lei...
E così un sabato pomeriggio ho varcato la soglia del Pronto Soccorso, convinto che me ne sarei tornato a casa da lì a poco. In realtà nel giro di un paio d'ore sono stato sottoposto agli accertamenti di routine: pressione, saturazione eccetera... seguiti da un prelievo di sangue venoso e uno arterioso, una Tac alla testa e una radiografia toracica, a cui si è aggiunto l'inevitabile tampone Covid. La cosa che più mi ha impressionato - per certi versi anche preoccupato vista la solerzia degli operatori che mi ha portato a pensare che il “problemino” fosse più grave di quanto immaginassi - è stato il fatto che in brevissimo tempo erano disponibili gli esiti degli accertamenti, ad eccezione dell'esito del tampone ovviamente, che è arrivato solo il giorno successivo. Meno di tre ore dopo il mio arrivo in ospedale l'intero quadro clinico veniva valutato dal neurologo appositamente chiamato dal reparto. Tutti gli accertamenti effettuati non segnalavano nulla di anomalo, quindi... persistendo ancora il disturbo, contrariamente a quello che credevo, la dottoressa ha deciso di ricoverarmi in Neurologia.
La degenza è durata quasi due settimane, trascorse in camera singola dalla quale non potevo uscire per nessun motivo e neppure ricevere visite dall'esterno. Sono state due settimane durante le quali ho avuto modo di apprezzare il funzionamento del reparto di Neurologia, diretto dal primario dottor Lorenzo Lorusso. Ho toccato con mano l'attenzione, la professionalità e la meticolosità dei medici dello staff, ma anche di infermieri e oss. Due giorni dopo il ricovero una Risonanza magnetica ha confermato quello che i dottori probabilmente già avevano intuito: c'era un piccolo trombo alla testa. Non voglio dilungarmi sulle mie condizioni, il fatto che sia qui a scrivere è la miglior dimostrazione della positiva evoluzione della vicenda.
Questa esperienza mi ha però permesso di scoprire un ospedale che non conoscevo, un patrimonio umano fatto di competenze, di una meticolosa organizzazione, ma anche di tanta cortesia e comprensione.
Chi sosteneva che l'emergenza Covid-19 ci avrebbe resi più umani e compassionevoli, tra i reparti del Mandic potrebbe trovarne la conferma. “Il clima” era così anche prima della pandemia, mi è stato assicurato.
Tutto questo mi ha permesso di mettere a fuoco meglio la situazione del nostro Ospedale.
Non abbiamo mai fatto mistero dei timori per il futuro del presidio, come non abbiamo mai lesinato critiche, anche aspre per usare un eufemismo, su una gestione che consideriamo troppo spesso “Leccocentrica”. Neppure esitato ad incrociare il fioretto con l'attuale dirigenza e in alcuni casi, quando è stato necessario, siamo ricorsi anche alla clava.
La domanda resta sempre però la stessa: cosa possiamo fare per migliorare il nostro ospedale, ma soprattutto evitare un lento ma costante impoverimento in termini di servizi e risorse umane?
Se devo essere sincero fino in fondo, il tarlo si è insinuato nella mia mente dopo una chiacchierata con la dottoressa Valentina Bettamio, direttore medico del Mandic in servizio dallo scorso febbraio. Parlando del Pronto soccorso la dottoressa mi ha confidato l'intenzione - che mi auguro corrisponda anche ad una precisa volontà - di superare i cronici problemi del Ps rendendolo inoltre “attrattivo” per medici e operatori sanitari. Infatti è risaputo che il nostro ospedale, come tanti altri purtroppo, soffre di una cronica carenza di medici di Pronto soccorso e di anestesisti. L’attuazione del progetto di ampliamento di cui si parla di anni, potrebbe rappresentare un primo passo.
Le emergenze odierne sono la carenza di medici in Pronto soccorso e la mancanza di anestesisti. Per questi ultimi la prima soluzione avrebbe potuto essere quella di non far scappare quelli che ci lavoravano. I numeri dicono che purtroppo la gestione non è stata delle migliori, essendo oltre una ventina quelli che armi e bagagli sono andati a lavorare altrove. Siamo infatti arrivati al punto che oggi l'Azienda sanitaria ha dovuto ricorrere ad una cooperativa che fornisce anestesisti pagati a gettone, per garantire il funzionamento delle sale operatorie.
In Pronto soccorso le cose non vanno certo meglio, nel reparto diretto dal dottor Giovanni Bonocore, il turnover è elevato e raggiunge livelli preoccupanti.
Quindi la domanda è: come si rende un ospedale “attrattivo”?
Evito volutamente di addentrarmi in aspetti sanitari e scientifici di cui non ho certo la competenza. Ma il territorio Meratese, a cui l'ospedale Mandic appartiene a pieno titolo, essendo stato finanziato in gran parte da numerosi benefattori, può rendere in qualche modo “attrattivo” il presidio e favorire la fidelizzazione di chi ci opera?
Io sono convinto di sì, ma è necessario un “Patto per il Mandic”. In passato ci avevamo provato con un'associazione, gli “Amici del Mandic” che ho anche avuto l'onore di presiedere. Ma ci siamo dovuti arrendere e renderci conto che le buone intenzioni non bastano.
Il nostro ospedale ha però bisogno di un'azione di sostegno da parte del territorio, lasciando la gestione sanitaria a chi compete, senza per questo rinunciare ad una partecipazione attiva sull’organizzazione generale.
Sarebbe necessario che una figura pubblica promuovesse un Comitato di sostegno della struttura, chiamando enti, istituzioni, associazioni e privati a sottoscrivere un “Patto per il Mandic”.
Quale dovrebbe essere il ruolo del Comitato è presto detto: dovrebbe promuove tutte quelle iniziative ritenute utili e necessarie per rendere il nostro ospedale “attrattivo” per medici e operatori sanitari in genere.
Potrebbe ad esempio mettere a disposizione alloggi per giovani medici e infermieri, che a parità di costo oggi preferiscono vivere e lavorare a Milano, piuttosto che a Monza; potrebbe istituire Borse di studio per medici e ricercatori, potrebbe promuovere collaborazioni con Università e centri di ricerca scientifica, favorire progetti di specializzazione... Poche cose certo, ma concrete, che proietterebbero sul nostro ospedale una nuova luce, rendendolo una struttura dinamica e “attrattiva”.
Certo, si renderebbero necessari degli investimenti, ma i Meratesi sono famosi per la loro generosità in particolare a favore del Mandic... Sono anche certo che potremo contare anche sugli stakeholder del territorio e anche le varie Fondazioni che già operano sul territorio potrebbero dare un significativo contributo.
Se vogliamo che questo nostro “gioiello”, sopravvissuto allo tsunami del Covid possa resistere agli uragani che si intravedono all'orizzonte della sanità in Lombardia, è necessario rimboccarsi le maniche.
Un ruolo attivo e di sostegno al Mandic finirebbe in qualche modo per “condizionare” positivamente la dirigenza dell'Azienda lecchese a favore del nostro ospedale, che non potrebbe ignorare il parere di chi “investe” sulla struttura sanitaria di largo Mandic.
Sfogliando il programma elettorale di “Più Prospettiva - Panzeri sindaco”, cosa che dovrebbero fare periodicamente tutti i cittadini di Merate, mi sono imbattuto nella “promessa” di costituire un “Polo della scienza”, attraverso la realizzazione di una rete che coinvolga l'Osservatorio astronomico, le Università, la Regione, enti e Fondazioni.
Forse, vista la situazione, le stelle possono attendere. In questo momento il territorio ha più bisogno di un “Polo della sanità”.
Chi intende raccogliere la sfida quindi non deve far altro che farsi avanti...
Presto quindi torneremo a fare i conti con i problemi di sempre del nostro ospedale, gli stessi che avevamo messo da parte quando la struttura sanitaria è stata investita dall'emergenza Coronavirus.
La drammatica esperienza che abbiamo vissuto negli scorsi mesi ha però in qualche modo mutato il sentimento dei cittadini, nei confronti del presidio ospedaliero, ma soprattutto rispetto a quanti ci lavorano. A conferma che la percezione e l'importanza che attribuiamo ad alcuni servizi viaggia di pari passo con il livello dei nostri bisogni. Questo vale per la sanità quando siamo malati, ma anche per le Forze dell'ordine quando subiamo un furto e per i Vigili del fuoco quando scoppia un incendio.
Nel caso dell'ospedale San Leopoldo Mandic di Merate potremmo dire che l'interesse attorno al presidio è stato in questi mesi legato a doppio filo al numero dei contagi da Covid-19 e quindi, per fortuna, è ormai prossimo allo zero.
Non è così per noi. Questo giornale da sempre tiene accesi i riflettori sul presidio sanitario di Merate, perché siamo consapevoli dell'importanza e del valore che la struttura rappresenta per il territorio e per chi ci abita. E siamo altrettanto convinti che una politica aziendale esasperata che si pone come unico obiettivo il rispetto dei budget, finirebbe per “strangolare” il nostro nosocomio.
Recentemente, mio malgrado, ho dovuto ricorrere al nostro ospedale per motivi di salute. Per una volta mi sono quindi trovato dalla parte del paziente.
Mi sono rivolto al Pronto soccorso per un piccolo problema che ritenevo addirittura banale. Di parere opposto il mio medico, la dottoressa Maria Ines Riva, che ha invece insistito perché mi sottoponessi a degli accertamenti. Neanche a dirlo, ha avuto ragione lei...
E così un sabato pomeriggio ho varcato la soglia del Pronto Soccorso, convinto che me ne sarei tornato a casa da lì a poco. In realtà nel giro di un paio d'ore sono stato sottoposto agli accertamenti di routine: pressione, saturazione eccetera... seguiti da un prelievo di sangue venoso e uno arterioso, una Tac alla testa e una radiografia toracica, a cui si è aggiunto l'inevitabile tampone Covid. La cosa che più mi ha impressionato - per certi versi anche preoccupato vista la solerzia degli operatori che mi ha portato a pensare che il “problemino” fosse più grave di quanto immaginassi - è stato il fatto che in brevissimo tempo erano disponibili gli esiti degli accertamenti, ad eccezione dell'esito del tampone ovviamente, che è arrivato solo il giorno successivo. Meno di tre ore dopo il mio arrivo in ospedale l'intero quadro clinico veniva valutato dal neurologo appositamente chiamato dal reparto. Tutti gli accertamenti effettuati non segnalavano nulla di anomalo, quindi... persistendo ancora il disturbo, contrariamente a quello che credevo, la dottoressa ha deciso di ricoverarmi in Neurologia.
La degenza è durata quasi due settimane, trascorse in camera singola dalla quale non potevo uscire per nessun motivo e neppure ricevere visite dall'esterno. Sono state due settimane durante le quali ho avuto modo di apprezzare il funzionamento del reparto di Neurologia, diretto dal primario dottor Lorenzo Lorusso. Ho toccato con mano l'attenzione, la professionalità e la meticolosità dei medici dello staff, ma anche di infermieri e oss. Due giorni dopo il ricovero una Risonanza magnetica ha confermato quello che i dottori probabilmente già avevano intuito: c'era un piccolo trombo alla testa. Non voglio dilungarmi sulle mie condizioni, il fatto che sia qui a scrivere è la miglior dimostrazione della positiva evoluzione della vicenda.
Questa esperienza mi ha però permesso di scoprire un ospedale che non conoscevo, un patrimonio umano fatto di competenze, di una meticolosa organizzazione, ma anche di tanta cortesia e comprensione.
Chi sosteneva che l'emergenza Covid-19 ci avrebbe resi più umani e compassionevoli, tra i reparti del Mandic potrebbe trovarne la conferma. “Il clima” era così anche prima della pandemia, mi è stato assicurato.
Tutto questo mi ha permesso di mettere a fuoco meglio la situazione del nostro Ospedale.
Non abbiamo mai fatto mistero dei timori per il futuro del presidio, come non abbiamo mai lesinato critiche, anche aspre per usare un eufemismo, su una gestione che consideriamo troppo spesso “Leccocentrica”. Neppure esitato ad incrociare il fioretto con l'attuale dirigenza e in alcuni casi, quando è stato necessario, siamo ricorsi anche alla clava.
La domanda resta sempre però la stessa: cosa possiamo fare per migliorare il nostro ospedale, ma soprattutto evitare un lento ma costante impoverimento in termini di servizi e risorse umane?
Se devo essere sincero fino in fondo, il tarlo si è insinuato nella mia mente dopo una chiacchierata con la dottoressa Valentina Bettamio, direttore medico del Mandic in servizio dallo scorso febbraio. Parlando del Pronto soccorso la dottoressa mi ha confidato l'intenzione - che mi auguro corrisponda anche ad una precisa volontà - di superare i cronici problemi del Ps rendendolo inoltre “attrattivo” per medici e operatori sanitari. Infatti è risaputo che il nostro ospedale, come tanti altri purtroppo, soffre di una cronica carenza di medici di Pronto soccorso e di anestesisti. L’attuazione del progetto di ampliamento di cui si parla di anni, potrebbe rappresentare un primo passo.
Le emergenze odierne sono la carenza di medici in Pronto soccorso e la mancanza di anestesisti. Per questi ultimi la prima soluzione avrebbe potuto essere quella di non far scappare quelli che ci lavoravano. I numeri dicono che purtroppo la gestione non è stata delle migliori, essendo oltre una ventina quelli che armi e bagagli sono andati a lavorare altrove. Siamo infatti arrivati al punto che oggi l'Azienda sanitaria ha dovuto ricorrere ad una cooperativa che fornisce anestesisti pagati a gettone, per garantire il funzionamento delle sale operatorie.
In Pronto soccorso le cose non vanno certo meglio, nel reparto diretto dal dottor Giovanni Bonocore, il turnover è elevato e raggiunge livelli preoccupanti.
Quindi la domanda è: come si rende un ospedale “attrattivo”?
Evito volutamente di addentrarmi in aspetti sanitari e scientifici di cui non ho certo la competenza. Ma il territorio Meratese, a cui l'ospedale Mandic appartiene a pieno titolo, essendo stato finanziato in gran parte da numerosi benefattori, può rendere in qualche modo “attrattivo” il presidio e favorire la fidelizzazione di chi ci opera?
Io sono convinto di sì, ma è necessario un “Patto per il Mandic”. In passato ci avevamo provato con un'associazione, gli “Amici del Mandic” che ho anche avuto l'onore di presiedere. Ma ci siamo dovuti arrendere e renderci conto che le buone intenzioni non bastano.
Il nostro ospedale ha però bisogno di un'azione di sostegno da parte del territorio, lasciando la gestione sanitaria a chi compete, senza per questo rinunciare ad una partecipazione attiva sull’organizzazione generale.
Sarebbe necessario che una figura pubblica promuovesse un Comitato di sostegno della struttura, chiamando enti, istituzioni, associazioni e privati a sottoscrivere un “Patto per il Mandic”.
Quale dovrebbe essere il ruolo del Comitato è presto detto: dovrebbe promuove tutte quelle iniziative ritenute utili e necessarie per rendere il nostro ospedale “attrattivo” per medici e operatori sanitari in genere.
Potrebbe ad esempio mettere a disposizione alloggi per giovani medici e infermieri, che a parità di costo oggi preferiscono vivere e lavorare a Milano, piuttosto che a Monza; potrebbe istituire Borse di studio per medici e ricercatori, potrebbe promuovere collaborazioni con Università e centri di ricerca scientifica, favorire progetti di specializzazione... Poche cose certo, ma concrete, che proietterebbero sul nostro ospedale una nuova luce, rendendolo una struttura dinamica e “attrattiva”.
Certo, si renderebbero necessari degli investimenti, ma i Meratesi sono famosi per la loro generosità in particolare a favore del Mandic... Sono anche certo che potremo contare anche sugli stakeholder del territorio e anche le varie Fondazioni che già operano sul territorio potrebbero dare un significativo contributo.
Se vogliamo che questo nostro “gioiello”, sopravvissuto allo tsunami del Covid possa resistere agli uragani che si intravedono all'orizzonte della sanità in Lombardia, è necessario rimboccarsi le maniche.
Un ruolo attivo e di sostegno al Mandic finirebbe in qualche modo per “condizionare” positivamente la dirigenza dell'Azienda lecchese a favore del nostro ospedale, che non potrebbe ignorare il parere di chi “investe” sulla struttura sanitaria di largo Mandic.
Sfogliando il programma elettorale di “Più Prospettiva - Panzeri sindaco”, cosa che dovrebbero fare periodicamente tutti i cittadini di Merate, mi sono imbattuto nella “promessa” di costituire un “Polo della scienza”, attraverso la realizzazione di una rete che coinvolga l'Osservatorio astronomico, le Università, la Regione, enti e Fondazioni.
Forse, vista la situazione, le stelle possono attendere. In questo momento il territorio ha più bisogno di un “Polo della sanità”.
Chi intende raccogliere la sfida quindi non deve far altro che farsi avanti...
Angelo Baiguini