H. Mandic, 10 marzo: a tre mesi dall’esplosione del Covid 19 ecco i volti di quanti hanno ''combattuto'' senza sentirsi eroi

Ospedale San Leopoldo Mandic, martedì 10 marzo 2020, ore 15. Gli italiani hanno conosciuto da pochi giorni il coronavirus. Fino alla fine di febbraio l'epidemia era nota solo attraverso gli schermi televisivi che mostravano la gente di Wuhan cadere per strada. I soliti cinesi che mangiano topi e pipistrelli. Un tasto sul telecomando e via si passa ad altro. Adesso invece il virus ha fatto irruzione in Italia con una virulenza paragonata a quella della peste manzoniana. La paura prende il sopravvento sull'incredulità. Scattano i primi provvedimenti: distanziamento fisico, mascherine, guanti, igienizzanti diventano compagni di viaggio quotidiani. Fino alla parola magica: lockdown, confinamento. Le sirene lacerano l'aria a ogni ora del giorno e della notte. Dai primi di marzo il Ps di Merate assiste a una crescita esponenziale degli accessi. Le ambulanze arrivano ormai anche da fuori provincia. Il presidio a cavallo tra Bergamo, Lecco e Monza e Brianza sembra un avamposto. E come tale nell'immaginario collettivo compare la parola "eroi". Eroi quelli che stanno dentro a lavorare spesso con protezioni minime ad affrontare un nemico pressoché sconosciuto.


Le ambulanze in coda il pomeriggio del 10 marzo nel parcheggio antistante l'ingresso del pronto soccorso


Ospedale San Leopoldo Mandic, martedì 10 marzo, ore 15: la scena che si presenta al cronista conferma quanto la situazione sia precipitata: dieci ambulanze, provenienti da Boltiere, Lomazzo, Bonate, Viadana, Bosisio, Mantova e Lecco  sono in attesa di "scaricare" il paziente a bordo. Ma dentro non c'è posto: sessanta persone sono già ricoverate nell'area "polmone", altrettante si accalcano nella sala d'attesa del pronto soccorso. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari, ausiliari corrono da una parte all'altra delle corsie per reperire letti mentre si decidono le riconversioni delle unità operative in aree Covid 19.

Fuori compaiono le lenzuola che inneggiano agli eroi che stanno dentro. Ma dentro ci stanno operatori sanitari che svolgono il proprio dovere anche oltre i limiti della resistenza fisica senza per questo considerarsi eroi.




Eccoli, sono duecento volti semi nascosti dalle mascherine. Donne e uomini che per oltre due mesi hanno operato come se non esistesse più un orario di lavoro, un mansionario, un contratto. Hanno visto decine e decine di persone spegnersi con lo sguardo nel loro, come un ultimo saluto. Molti di questi medici e infermieri fanno ancora oggi fatica a scacciare gli incubi notturni.

Ma finita l'emergenza sono spariti anche gli eroi. Si torna alla normalità in un'azienda che fatica a trovare qualche centinaia di migliaia di euro per rafforzare la strumentazione e confermare in servizio quanti sono stati reclutati per sei mesi.

No, la normalità di prima non la vogliamo più. Adesso vogliamo che il nostro ospedale abbia tutto ciò di cui ha necessità, personale e dotazioni tecnologiche nel quadro di un piano organizzativo aziendale che introduca nuove strutture semplici, più prestazioni ambulatoriali, alta specialità e una diversa organizzazione del comparto chirurgico da inserire in un dipartimento guidato da un meratese.La Direzione strategica, tutto questo lo "deve" al San Leopoldo Mandic.

E ai suoi "eroi" che dopo aver ricevuto gli applausi dei sindaci rischiano di essere nuovamente dimenticati.
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