Con questa confusione vale davvero la pena di rialzare la saracinesca?

Con la costituzione del Nucleo per il controllo del rispetto dei protocolli di sicurezza negli ambienti di lavoro varato dalla Prefettura di Lecco, cui fanno parte esponenti di tutte le forze dell'ordine che assieme o singolarmente - "ma senza sovrapporsi" - possono ispezionare le aziende, il quadro è completo. E un'attenta lettura dell'insieme indurrà molti imprenditori a non alzare la saracinesca o aprire il cancello. Ancora una volta - come avviene da moltissimi anni con i tanti soggetti autorizzati a irrompere nelle imprese come fosse casa loro - l'azienda finisce sotto il tallone della burocrazia statale, quella che - per il momento - non ha problemi di busta paga né di possibile perdita del posto di lavoro. Quella che per definizione dovrebbe essere di aiuto e sostegno al privato che combatte in prima linea e invece spesso è di ostacolo e, pure con qualche perversa soddisfazione, di impedimento alla crescita. Nulla contro l'iniziativa prefettizia, sia chiaro, la tutela della salute è in cima alla scala delle priorità. Ma la differenza la faranno i tempi e le modalità di applicazione dei controlli e, soprattutto, l'eventuale sanzionamento che deve essere non in prima battuta, ma al successivo controllo dopo le rilevazioni di difformità rispetto al protocollo approvato. Perché nel caos di norme statali, regionali e comunali, è difficile per l'imprenditore sapere tutto ed essere sempre aggiornato.

Le aziende hanno subito una chiusura mai verificatasi dal dopoguerra, stanno pagando prezzi altissimi per tentare di recuperare qualche fetta di mercato, debbono sostenere spese ingenti per fornire al personale tutto i DPI senza alcun aiuto da Stato o regione, a parte il bando che, forse, arriverà a concorrere per ventimila euro (quando con le mascherine a 9 euro un'azienda di 50 dipendenti ne ha già spesi la metà se ha potuto operare almeno per un mese) all'esborso già sostenuto e che si dovrà sostenere chissà ancora per quanto tempo.

Ora si scopre che se un dipendente si ammala di Covid 19 è classificato infortunio sul lavoro e il titolare rischia di finire a processo perché si presuppone che il virus sia stato contratto in azienda. E in mancanza di prova contraria il suddetto titolare, senza uno scudo penale, rischia un procedimento lungo e costoso, anche se può dimostrare di aver applicato i protocolli con la cura che si può dedicare a protocolli confusi, caotici, contraddittori.

Che la confusione regni sovrana, del resto, lo si è visto proprio nell'atteggiamento delle forze dell'ordine rispetto al medesimo caso. Per alcuni è sanzionabile per altri è legittimo. Si veda la vicenda della coppia di Caponago multata dai vigili di Merate: secondo il Comandante si è trattato di un atto legittimo, secondo una serie di altri soggetti tra cui la stessa RSA - DPCM alla mano - il marito era assolutamente autorizzato a accompagnare la moglie dal suocero in fin di vita.

E in mezzo a questo caos legislativo e interpretativo nonché nel pieno di una crisi economica e finanziaria dalle dimensioni spaventose, con le banche che erogano fondi come se fossimo in condizioni normali, la Cig che stenta ad arrivare, le restrizioni che ammazzeranno un terzo delle attività commerciali, i 600 euro con cui una famiglia dovrebbe vivere un mese, in mezzo a tutto ciò chi regge le sorti del PIL anche a costo di indebitarsi ecco che dovrà aprire le porte al Comitato di controllo che magari riterrà non idoneo il tipo di guanto o non sufficiente il numero degli igienizzanti, in un contesto di cambiamento perenne come sta accadendo per la misurazione della temperatura corporea, facoltativo fino a domenica, obbligatorio da lunedì.

E l'imprenditore dovrà ancora una volta smettere di lavorare per dare retta a tutti. E, soprattutto, sarà in balia di tutti. Ma vale davvero la pena di rialzare la saracinesca?

Claudio Brambilla
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