La gigantesca presa in giro dei fondi statali alle imprese sotto la ''forca'' delle banche

Dimentichiamo per qualche minuto le miserie locali per una riflessione su questi ultimi due mesi. Non tocchiamo l'aspetto sanitario, delicato e complesso, che merita un "pezzo" a se. Ci soffermiamo invece sul turbinio dei numeri di miliardi messi a disposizione dei cittadini. Il Governo ha parlato di un bazooka da 400 miliardi; più modestamente la Lombardia ha annunciato la messa a disposizione di 3 miliardi cash per imprese, famiglie e comuni. Una tempesta finanziaria tale da domandarsi, come prima sensazione, dove diavolo fossero conservati tutti questi soldi fino alla fine di febbraio.

Poi però basta una pausa tra la lettura di un articolo e l'altro, entrambi grondanti miliardi, per comprendere che, semmai ci saranno, questi fondi sono tutti a debito. E allora finalmente la luce fu.

I Comuni annunciato aiuti, ma con buoni spesa statali, assicurano concessioni sulla Tari, ma soltanto in termini di differimento delle rate, anche se per due mesi i negozianti non hanno prodotto un chilo di immondizia stando chiusi. Altri provvedimenti non se ne vedono.

La regione straparla di fondi a disposizione - e i partiti di riferimento emettono comunicati trionfanti - dimenticando che sono soldi dei lombardi accumulati con addizionali, balzelli, imposte varie, tasse, Irap (che nessuno si sogna di toccare, un'imposta che si paga anche col conto economico in perdita).

E poi le banche. E qui lo spettacolo è davvero sconfortante. Per avere i famosi 25mila euro "subito sul conto" occorre compilare quattro modelli di cui uno di ben 13 pagine, indicare l'attivo dello stato patrimoniale, come fosse una cosa nota a tutti, produrre l'Unico 2019 redditi 2018 o un bilancio corredato di nota integrativa se si tratta di una società di capitali. Il tasso generalmente è attorno all'1 - 1,15%, senza altre spese. Tempi per la delibera almeno 15 giorni.

Per ottenere i fondi del "Cura Italia" o del decreto "Liquidità", la trafila è sostanzialmente uguale a quella, già indegna, che si deve percorrere per ottenere un finanziamento a medio, lungo termine. Facciamo qualche esempio. Ubi banca, quella di "Fare banca per bene", Intesa, Popolare Emilia Romagna, chiedono variamente una relazione sullo stato di fatto, gli elementi connessi al Covid e un budget finanziario mensilizzato con entrate da clienti, pagamenti a fornitori, dipendenti, spese, generali, previsioni su insolvenze, persino un'ipotesi di ebitda. Poi ci sono il solito allegato 4 e 4 bis da compilare, più le autocertificazioni. Il tutto richiede almeno un mese per l'istruttoria. E infine si arriva ai tassi: raramente sotto l'1,25% con spese di istruttoria che oscillano tra lo 0,35 e lo 0,75% , penali elevate in caso di estinzione anticipata, durate tra 60 e 72 mesi con preammortamento (si pagano solo gli interessi) tra 12 e 24 mesi. Se si ricorre alla garanzia della Sace, il costo è di 42.500 euro ogni milione di finanziato. Oltre, naturalmente a tutti i costi prima elencati.

Finita la pausa di riflessione ci si rende conto di quanto sia gigantesca la presa in giro. Centinaia di pagine di decreti per non spostare nulla rispetto a una procedura bancaria consolidata. Se non meriti il finanziamento non lo ottieni. A meno appunto di ricorrere alle coperture Sace con l'accollo degli ulteriori costi.

Quello che davvero serve, cioè un finanziamento a fondo perduto, sul modello svizzero e tedesco, non c'è. Tutto è a debito, per lo Stato che, al di là della chiacchiera sulla tenuta dei fondamentali, è vicino alla bancarotta e per le imprese che sperano di recuperare qualcosa in termini di ricavi e margini perché finito il periodo di preammortamento si dovranno reperire i soldi per rimborsare le rate.

E allora, forse, la vera crisi esploderà. E sarà quella - caro Gallera - la vera bomba.

Claudio Brambilla
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