Prof. Motta: Agnese è mamma nel suo "essere pratica" al servizio del progetto di vita dei suoi figli Lucia e anche Renzo. Auguri a tutte le mamme, allora: e grazie di cuore



Lucia e Agnese, Promessi Sposi, capitolo XXVI

Mamma Agnese sta sullo sfondo. Dà consigli, perlopiù raffazzonati, con la saggezza rustica di chi ha vissuto e ne ha viste tante, e parla per frasi fatte e proverbi, per soprannomi dialettali – come quando non si ricorda il nome dell’Azzeccagarbugli – e insinua furberie e scorciatoie per sentito dire (“ho sentito da un’amica che ha sentito da un’amica che una tale ha detto all’altra che una sua cugina…”) come la trovata del “matrimonio a sorpresa”, in cui anche lei ci mette del suo facendo da “palo” e distraendo con qualche pettegolezzo amoroso la zittellissima Perpetua.
Se mai ci sono personaggi eroici nei “Promessi sposi”, in una scrittura che Manzoni ha cesellato perché fosse tutto fuorché tonitruante, se mai ci sono personaggi antieroici, o macchiette, o camei memorabili, la nostra Agnese sta sullo sfondo e non ne emerge. Ogni tanto si antepone a Lucia, quando per esempio prende la parola nel parlatorio della Monaca di Monza, subito zittita da quella Madre malmonacata e peggiovissuta che “madre” lo era di appellativo ma certamente non di cuore.
Mamma Agnese sta sullo sfondo di tante illustrazioni che accompagnano la Quarantana: la si vede di scorcio inginocchiata nella xilografia che illustra il matrimonio, e poi alla fine, mentre Renzo e Lucia fanno la prima cosa che fanno due innamorati una volta sposati (bisticciano: cosa avevate pensato?!?), lei sta lì, seduta in parte, baloccandosi la piccola nipotina Maria.


Ed è mamma anche a Renzo, orfano di entrambi i genitori, prima ancora che diventi lo sposo della sua Lucia. Ne tempera gli slanci da Rambo quando vorrebbe farla pagare a don Rodrigo, ne comprende la stizza gelosa quando capisce che Lucia sapeva delle avances del signorotto e non aveva detto niente né a lui né a lei. È madre ancor di più in quel momento, quando non difende per partito preso la figlia.
È una donna pratica, Agnese. Non perché contadina ma perché madre. Anche di Renzo si dice che una volta intrapreso il progetto del matrimonio “era divenuta massaro”, non perché avesse imparato a cucinare e ricamare (dopo la massaia di Voghera il massaio di Lecco?), ma perché era divenuto previdente, aveva spostato in là l’orizzonte temporale della sua realizzazione, economica ma soprattutto umana.
Agnese è mamma proprio in questo suo essere “pratica”, a servizio del progetto di vita dei suoi figli, Lucia e anche Renzo. Non perché si annulli in questo ma perché ha ben chiara la responsabilità e la gioia della maternità, che continua a generare ogni giorno.
Dei molti personaggi di cui si compone il romanzo io amo i cosiddetti minori: Menico, il sarto di Chiuso, Agnese, la madre di Cecilia. Mi piace augurare alle nostre mamme che possano essere donne e madri così: buone, “femmine un giorno e poi madri per sempre”, come canta De Andrè nella sua splendida “Ave Maria”, “nella stagione che stagioni non sente”, perché una mamma sembra non invecchiare mai, perché ha l’età dei sogni dei suoi figli.
Auguri a tutte le mamme, allora: e grazie.
Stefano Motta
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.