Verderio: Piera Motta, 61 anni, cintura nera di karate 6° dan. ''E' stato un percorso di vita. Il traguardo è merito del gruppo''
Piera Motta, classe 1953 di Verderio, è una delle poche donne ad avere raggiunto il grado di cintura nera 6° dan, nel Karate Tradizionale. Un riconoscimento che si raggiunge dopo anni e anni di “militanza”, di disciplina, di esami, stage e allenamenti. Un risultato che premia la volontà e la determinazione. Piera ha ottenuto il primo dan nel 1974, poi sono arrivati il secondo nel 1988, il terzo nel 1992, il quarto nel 1999, il quinto nel 2007 e infine il sesto nel 2019.
I dan superiori al quinto sono riconosciuti per merito, per l’attività di diffusione del Karate Tradizionale. E per Piera la cerimonia davanti al maestro Hiroshi Shirai (caposcuola del Karate Tradizionale in Italia) e alle centinaia di tecnici della FIKTA(Federazione Italiana Karate Tradizionale e Arti Affini) presenti allo stage nazionale del 25 agosto è stata più che altro un momento da condividere con la sua "famiglia", quella del karate. E il karate fa veramente parte della sua quotidianità.
Quando ha indossato il kimono per la prima volta?
Era il 1972, lavoravo alla IMEC di Carvico come addetta al magazzino spedizioni ed ero già fidanzata con Severino (Severino Colombo, Maestro cintura nera 7° dan, fondatore della Scuola Shotokan Ryu, ndr). Un giorno, all’improvviso, mi dice: “Vado a fare karate con un mio amico.” Io l'ho guardato, c'era un panino secco sul tavolo e scherzosamente l'ho spezzato con un colpo della mano, in quello stesso giorno abbiamo iniziato lo studio del karate e non abbiamo più smesso. Il karate, ormai, mi era entrato dentro.
Piera Motta con il Maestro Severino Colombo
Una scelta inusuale per quei tempi e per una donna. Insomma non propriamente uno sport femminile...
Il karate era considerato una disciplina violenta, che non si addiceva ad una donna, tanto meno ad una ragazza, però per me è diventato un percorso di vita. Severino ed io andavamo tre o quattro volte alla settimana a Sesto San Giovanni, dal M° Infiume Gennaro per allenarci, c’erano tutti uomini, tranne me e un'altra ragazza. Ogni anno si affrontavano tre volte gli esami per il passaggio di cintura e il 30 dicembre 1974, a Milano, Severino ed io ci siamo presentati all'esame di cintura nera, davanti al Maestro Shirai, che promuovendoci si complimentava con noi per l’ottima prestazione.
Il karate le è mai servito per difendersi da aggressioni?
Non mi è mai successo, fortunatamente, però mi ha dato un’impostazione mentale che mi ha aiutato tantissimo a superare i momenti più difficili. Mi è servito per avere rispetto delle persone, dell'ambiente. Per conoscere le difficoltà di tante famiglie e cercare di andare loro incontro. Quello che insegniamo nella nostra Scuola “Shotokan Ryu”, ai bambini e ai ragazzi, è che ci sono delle regole da rispettare e che il karate deve essere utilizzato per migliorarsi, tutti i ragazzi devono essere protagonisti e sentirsi tali ma sempre nel rispetto dei compagni di squadra e delle persone che incontreranno nella loro vita.
Qual è la gratificazione più grande che ha ricevuto dal karate?
Ho avuto tante soddisfazioni ma la più grande, per me, è quella di avere potuto “far crescere” tanti bambini e di avere seguito in modo particolare chi aveva maggiore difficoltà. Vedere inoltre che il karate li aiuta a maturare, a migliorare, a esprimersi e a liberarsi dalle paure, questa è la mia più grande soddisfazione. Ricordo bene uno dei papà, la cui figlia faticava a relazionarsi con i coetanei ed era sempre attaccata a lui e alla mamma. Me l’ha affidata. Per un mese intero lei ha pianto poi, pian piano, ha riconosciuto un ambiente accogliente, ha preso confidenza e tutto è cambiato.
Con il maestro Hiroshi Shirai
C'è qualcuno che deve ringraziare e a cui dedica questo traguardo?
Certo! La mia dedica è per il Maestro Severino Colombo, che tramite la Scuola Shotokan Ryu ha fatto e continua a fare veramente tanto. E anche per tutte le persone che si impegnano negli allenamenti, per i maestri, gli istruttori e per i ragazzi. Quando si vince una medaglia o si raggiunge un grado è anche merito di tutto il gruppo.
Rifarebbe ancora tutto?
Assolutamente sì, senza incertezze.
S.V.