La Banalità del Male

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In questi giorni La Banalità del Male di Hannah Arendt si nasconde tra le pieghe, i commenti di quello che sta accadendo nella terra promessa di Giacobbe nipote di Abramo.  La Banalità del Male origina dal processo ad Eichmann nel 1963 a Gerusalemme per la testata newyorkese New Yorker.

Per Arendt il male trasforma personaggi banali in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere, com'è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia e a far sentire l'individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico. E’ il rischio che si sta riproponendo nella terra promessa.

Tutti siamo coinvolti mediaticamente in una comunicazione prevalentemente emozionale e irrazionale che trasforma il male in una banalità del male, invece è fondamentale porre il ragionamento e il sapere al centro della questione: guai lasciarsi guidare dall’impulso emozionale quando si è di fronte alle macerie del terrore.

La risposta simmetrica al male, alla distruzione determina un processo distruttivo che si autoalimenta generando terrore e distruzione. Non è possibile essere catturati da Themis: dea greca che personifica la giustizia, la legge, l’ordine e la giustizia divina o naturale. Bisogna recuperare il Nomos che è la legge dell’uomo su cui si fonda la democrazia in contrapposizione alla legge naturale.  

Ci sono strategie diverse per mettere sul banco degli imputati i crimini di guerra. Però, bisogna tenere sempre tra le mani la bussola della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo contiene tutti i principali diritti umani che ogni Nazione aderente all’Onu si impegna a rispettare; tra i principali ricordiamo: il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale; il diritto alla dignità; il diritto a nascere e rimanere liberi e, quindi, a non essere ridotti in schiavitù; il diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica; il diritto a non essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti; il diritto a potersi rivolgere a un tribunale equo e imparziale; il diritto a subire un giusto processo; il diritto ad essere considerato innocente fino a condanna definitiva.

Arendt, nel 1963, evidenziò l’importanza del nomos contro la legge naturale, razzista, per giustificare l’orrore ‘legalizzante’ dello sterminio. Il tutto è passato attraverso un giustificato valore trascende riguardante la razza.

La banalità del male sta proprio nel non accorgersi che nel nome di un valore deformante, ideologizzante, si rischia di perdere la dimensione materiale di corpi delle persone. Prima della vendetta, della reazione emozionale distruttiva ci sono i corpi che camminano, che respirano, che vivono.

Più ci si allontana dalla legge del nomos più aumenta il rischio di cadere in quella trappola infernale dell’homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’uomo) di Thomas Hobbes, secondo cui la natura dell’uomo si fonda sull’istinto di sopravvivenza, sopraffazione e che i legami sociali sono dovuti solamente al timore reciproco.  C’è il rischio di scivolare velocemente dentro le viscere distruttive degli istinti più disumani diventando simili ai carnefici.

La logica perversa e comparativa del carnefice autorizza Thanatos a cavalcare a briglie sciolte sterminando corpi fatti di storie generando distruzione e lacrime.
Dr. Enrico Magni Psicologo, giornalista
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