Mandic: signor Direttore, bussi prima di entrare

La critica a un'iniziativa politica, pur se a mezzo di camerieri e maggiordomi, è senz'altro legittima. Come, del resto, l'iniziativa del PD che, avvertendo, diversamente da Mauro Piazza, il deperimento del potenziale del San Leopoldo Mandic - ormai sotto gli occhi di tutti a parte chi inganna per interesse - cerca in qualche modo di fermare il degrado, anche attraverso un innocente questionario che mira a focalizzare necessità e pareri dei cittadini senza alcuna velleità di schieramento partitico.
 
Dunque legittima l'iniziativa, legittima la critica.
Ma poi ci sarebbero anche i fatti che per un giornale sono - o sarebbero - come il lievito per il prestinaio.
Per esempio l'impedimento a un consigliere regionale, ex parlamentare, come Gian Mario Fragomeli di effettuare una visita "conoscitiva" presso il Pronto Soccorso di Lecco e il presidio di Merate. Dove l'aggettivo fa la differenza.
La richiesta, l'ex deputato del PD l'ha inoltrata al direttore generale il 29 maggio scorso e il 23 giugno - con comodo - il dottor Paolo Favini ha risposto che di problemi ospedalieri se ne parla soltanto di persona con la direzione oppure presentando interrogazioni, mozioni e interpellanze. Ma nei reparti non si entra.
Strano perché i politici entrano spesso nel presidio, l'ultima volta a memoria, nel 2021 il sottosegretario Andrea Costa col codazzo di esponenti del centrodestra tra i quali Maurizio Lupi e l'immancabile Alessandra Hofmann.
Ma, a parte questo, ci sono due aspetti che lasciano senza parole. Il primo: Paolo Favini è davvero così sicuro di sé da voler insegnare i regolamenti a un consigliere regionale che per dieci anni ha svolto importanti incarichi a Montecitorio? Non c'è nella risposta con la quale nega il permesso di visitare i reparti una fastidiosa supponenza?
Due, ancora più importante che riguarda Merate: ma il direttore generale - a nostro parere il peggiore dai tempi di Roberto Rotasperti - nelle rarissime volte in cui ha trovato la strada per raggiungere la città si è mai soffermato sulle grandi lapidi di marmo dentro la palazzina della direzione? Perché se l'avesse fatto con attenzione si sarebbe accorto che, diversamente dall'ospedale Manzoni di Germanedo, la "mano" meratese qui è stata non importante, determinante. Partendo da Giovanni Battista e Felice Cerri, padre e figlio, che posero la prima pietra del presidio, 180 anni fa e poi donna Giulia Terzaghi, Antonio Baslini, Luigi e Lena Trivulzio, Gianbattista Galimberti, Luigi Airoldi, Arturo Toscanini, Angelo Belloni, don Alfonso e donna Sveva Falcò, Alessandro Torri, Aldo Crespi, Piero Prinetti, Paola Romerio, Miriam Bellani, Giuseppe Villa (cui è dedicato un intero padiglione), Luigi Rusca (cui è intitolata con la cara moglie la Radiologia), Piero Lamperti, Luigi Zappa . . . . e ci fermiamo qui. Ma la lista dei benefattori è ancora molto lunga. Tra loro, artigiani sconosciuti che tra la prima e la seconda guerra mondiale la domenica lavoravano gratuitamente in ospedale costruendo letti, mobili, arredi e quanto serviva per dare decoro all'ambiente.
Ecco, caro dottor Paolo Favini, se non conosce la storia dell'ospedale di Merate, che è ben diversa da quella del Manzoni e della gran parte degli ospedali lombardi, siamo disponibili e illustrargliela. Così, forse, ma diciamo forse, si convincerà che non è Fragomeli a dover chiedere di visitare i reparti, ma Lei a bussare prima di entrare.
Claudio Brambilla
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