Il coraggio dei giovani iraniani

Enrico Magni
Iran. Yazd. Tempio del Fuoco. C’è un grande braciere dietro a una parte di vetro trasparente, un addetto con la mascherina con guanti bianchi mette dei ceppi di legna per mantenere il fuoco eterno. Sulla parete del tempio le icone raccontano la storia del profeta Zoroastro e del culto zoroastriano che risale a 400 a.C. Il fuoco eterno, il fuoco sacro (ātar)insieme a l’acqua (āpas) è un agente di purezza rituale. Il fuoco è il simbolo dell’eternità, il principio fondatore dell’origine del bene sul male. Il fuoco eterno rappresenta il nulla eterno. E’ un culto monoteista. Il nucleo del credo zoroastriano ruota attorno al concetto di bene e male (dualistico). Ahura Mazdā è il nome dell’unico dio creatore del mondo sensibile e di quello sovrasensibile: "spirito che crea con il pensiero", "spirito che crea la vita", "memoria", "pensiero", "respiro vitale”.

Il culto zoroastriano per secoli è stato al centro della storia persiana prima dell’introduzione di quello islamico. In Iran sono rimasti circa centomila fedeli del culto zoroastriano, sono una minoranza etnica e religiosa nell’islam dominante.

Il Tempio del Fuoco è un’ombra a confronto della città santa di Qom e Mashhad. Mashhad è un complesso di edifici religiosi e ospita il mausoleo dell' Imām Reżā, che è l'ottava guida spirituale dei duodecimani sciiti. È la più grande moschea del mondo quanto a superficie.  All'interno del complesso c’è la Moschea Goharshad, due musei, una biblioteca e quattro madrase. E’ il cuore battente del culto degli sciiti iraniani, visitato ogni anno da circa 25 milioni di sciiti.

E’ un grande centro collocato nel deserto, lo si raggiunge dopo una serie di controlli, dopo lunghe ore di auto. Tutte le grosse città sono come delle città stato, separate da infinite distanze da percorrere in mezzo a una terra arida giallo ocra. Tutto attorno silenzio e vuoto.

In attesa del volo di rientro per l’Italia, dopo un lungo giro in Iran, in aeroporto, incontro una ragazza accompagnata dalla madre con una spilla del dio Ahura Mazdā. La guardo con sorpresa, sono attratto dalla spilla e da ciò che storicamente rappresenta. Il tempio del fuoco eterno, il cimitero millenario, il culto dei morti zoroastriano, la lettura di alcune poesie persiane mi sollecitano a approfondire il culto minoritario del profeta Zoroastro. Colgo in quella spilla della ragazza il coraggio e la forza del dissenso nei confronti del regime teocratico dell’Iran. Mi si rivolge in italiano, sorride, si avvicina, è contenta. E’ iscritta all’università in Italia. E’ accompagnata da sua madre avvolta in un velo nero. Il volto, lo sguardo della madre è sereno. E’ contenta che la figlia lasci il paese perché le condizioni di vita e di libertà sono proibitive. Tutto questo lo dice stando attenta a non farsi notare e con occhi supplichevoli chiede di ‘proteggere’ la figlia il tempo necessario per salire sull’aereo e lasciare quella stupenda terra color oro.

Altri giovani incontrati a Teheran e in altre città in privato esprimevano il loro dissidio nei confronti del regime iraniano. Le città dell’Iran sono piene di giovani, di ragazzi e ragazze che conoscono più lingue, c’è un desiderio di modernizzazione, di democrazia che trasuda dalla polvere del deserto e dall’asfalto. La presenza dei religiosi anche nelle strade è fastidiosa, reverenziale. Sono anni che c’è un forte desiderio di rompere con il khomeinismo istaurato nel 1979. La responsabilità dell’ascesa dall'ayatollah Khomeini (1900-1989) è da imputare all’occidente e agli europei che non hanno sostenuto il passaggio dal regime repressivo dello scià Reza Pahlavi a uno democratico.

Oggi le donne iraniane hanno il coraggio di affrontare da sole il regime. L’Iran è una terra che sta tra oriente e occidente, in particolare con l’Europa. Sono euroasiatici. E’ una generazione giovane che ha voglia di respirare il sapore della libertà. Dietro ad ogni volto c’è una storia profonda di sacrifici e di aspirazioni. I giovani dell’Iran sono l’espressione della vitalità e della gioia. I pedagogisti, gli insegnanti dovrebbero parlare del coraggio di questi coetanei.
Dr. Enrico Magni
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