Il risiko rischioso della crisi Ucraina: cento anni dopo il '38, il rischio di una nuova escalation totalitaria

Tutti noi abbiamo una geografia personale fatta di mappe mentali e ricordi indelebili, che si dilata o si rimpicciolisce a mano a mano che la vita, l'età, la professione ci portano a prendere treni, aerei, viaggiare nel mondo, conoscere persone, dare nuova misura agli spazi. Luoghi chilometricamente lontanissimi ci diventano familiari, altre realtà che abitano appena oltre l'angolo di casa nostra appaiono distanti, intangibili e inintelleggibili.La mia geografia di ragazzo si è costruita su una mappa che ricordo a memoria anche oggi che il mondo l'ho girato, e non coi carrarmati. In quella mappa sulla quale si giocava con serietà a fare la guerra, la Kamchatka era uno scioglilingua, l'Ucraina era enorme, distesa da nord a sud a fare da cerniera o cuscinetto tra Europa e Asia, centrale rispetto agli equilibri tattici, e difficile da difendere (dopo la Cina era il territorio che confinava con il maggior numero di altri stati). Chi aveva disegnato quella mappa l'aveva sovrastimata rispetto alla sua reale consistenza geografica, e l'aveva colorata di azzurro, acquisendola simbolicamente alla sfera europea.

Si era tra Ferrara e Bologna, in pieno Quattrocento, quando l'intera Russia veniva rappresentata in Concilio da Isidoro, «metropolita di Kiev e tutta la Rus'», nel sogno di fare di Kiev "la terza Roma", dopo la Città Eterna e Costantinopoli. La storia si fece subito intricata, com'è sempre nelle questioni dottrinali e politiche, con scismi vari di chiese autocefale, ma che Kiev si percepisse come legata costituzionalmente alla latinità è un dato di fatto della storia.
Ucraina granaio d'Europa, appetita da Napoleone e da Hitler, Ucraina terra di talenti calcistici come lo Ševčenko caro ai milanisti, o focolaio della peste del Trecento, che gli storici sanno essere arrivata in Europa dalla colonia genovese di Jaffa, in Crimea.

Lunedì, nel discorso con cui ha riconosciuto le due repubbliche autoproclamate del Donbass, il presidente russo Vladimir Putin ha detto più o meno chiaramente che l'Ucraina non ha una legittimità storica, «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante» e che è stata sostanzialmente inventata dal Partito Comunista dell'Unione Sovietica all'inizio del Novecento. Martedì il ministro degli Esteri russo Lavrov ha rilanciato da par suo, sostenendo che l'Ucraina «non ha il diritto di essere una nazione sovrana».
Taccio per decenza su come si sia espresso il ministro degli Esteri italiano.

 


Nessuno stato a Risiko era un obiettivo in quanto tale: tutti erano passi per un obiettivo di conquista più grande. Ma era un gioco. Non è chi non veda quale sia l'obiettivo di questo nuovo (nuovo?) totalitarismo sovietico, ma nel 2022 vorrei non si assistesse inermi a questa escalation come già avvenne nel secolo scorso: l'infilata plebiscito della Saar - annessione della Renania - Anschluß dell'Austria - conferenza di Monaco per la cessione dei Sudeti - occupazione di Boemia e Moravia ha prodotto l'invasione della Polonia. Eravamo tra il 1935 e il 1939, e solo Chamberlain non l'aveva capito.
Oggi siamo quasi cento anni dopo, e c'è già stata l'annessione della Crimea otto anni fa, e prima ancora la Cecenia.
Quo usque tandem abutere patientia nostra, Vladimiro?

Prof. Stefano Motta
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