Retesalute: possibile che nel caos del processo di liquidazione nessuno parli del ruolo dell’Ambito e dei mancati controlli da parte dei Comuni – soci?

Terminata la lettura dei pezzi del collega Angelo Baiguini - per inciso i complimenti per la rapidità con cui ha ottenuto tante notizie di un incontro a porte chiuse - ci siamo posti una domanda, per noi basilare: ma Retesalute è un'azienda speciale o una società commerciale?

L'impressione che si ricava è che il Presidente del collegio dei liquidatori stia trattando la vicenda come un normale "concordato in continuità" per quanto sia stato approvato dall'assemblea dei soci come liquidazione volontaria. Si chiede ai comuni di coprire la perdita in quote parti come una normale società in crisi finanziaria che delibera un aumento di capitale sociale con sottoscrizione pro quota di nuove azioni.

A noi pare che però la questione stia in tutt'altra maniera e, per quanto complicata - e senza la pretesa di aver imboccato la strada giusta - proviamo a analizzarla per come la vediamo.

Dunque i "soggetti" in campo sono due: Retesalute intesa come azienda strumentale dei Comuni (a questo scopo è nata) e per le funzioni che svolge in qualità di Ente Capofila per la programmazione e gestione del Piano di Zona dell'Ambito (il comune di Lecco lo è per l'omonimo distretto) e l'Ambito distrettuale che non avendo personalità giuridica, è impossibilitato ad agire in prima persona nella gestione e deve avvalersi a questo scopo di un Ente preposto.

Stato, Regione e Ats trasferiscono annualmente le risorse finanziarie destinate a diversi settori dei servizi sociosanitari all'Ambito distrettuale ( che esprime un Presidente eletto tra i Sindaci e un Esecutivo che lo affianca) il quale le rigira pro quota ai comuni che di esso fanno parte. Con queste risorse i Comuni "comprano" i servizi alla persona, non direttamente - almeno non tutti - ma attraverso appunto Retesalute alla quale una consistente quota parte di questi servizi sono conferiti.

A sua volta l'Azienda speciale provvede a erogare tramite propri dipendenti o cooperative terze questi servizi che siano l'assistenza domiciliare, la cura dei minori e così via. Nel 2018 Retesalute è arrivata ad erogare più di 50 tipologie di servizi mettendo insieme quelli tipici dell'attività strumentale e quelli commissionati dall'Ambito.

In linea teorica i fondi residui, quelli cioè che i comuni non hanno utilizzato direttamente o tramite Retesalute per erogare servizi andrebbero restituiti all'Ambito e da questo si presume ai soggetti che li hanno messi a disposizione, Stato, Regione, Ats.

Questo schema presuppone una contabilità analitica da parte dell'Ambito che registra i trasferimenti e gli eventuali ristorni, di Retesalute per la normale tenuta delle scritture di conto economiche e stato patrimoniale e dei Comuni soci nella veste, appunto, di soci, percettori dei fondi e utilizzatori di servizi affidati all'azienda speciale.

Il tutto con la massima precisione, ossia io Comune do a te Retesalute questi fondi per questo o questi servizi non altri. Poi mi rendiconti e se i soldi non sono stati sufficienti ti giro la differenza se invece sono in eccesso - al netto dei costi fissi di gestione - mi ritorni la quota non spesa.

All'interno di questa logica stringente non appare possibile generare perdite e meno ancora occultarle. A meno che nella "confusione" intesa tecnicamente come utilizzo promiscuo di fondi io Retesalute abbia utilizzato le risorse dell'Ambito per integrare i servizi relativi alla componente "strumentale" dell'Azienza e non per quelli che mi sono stati affidati dal Piano di Zona.

Strano che per interi lustri i responsabili dell'Ambito, dai Presidenti ai membri dell'Esecutivo (Sindaci o loro delegati) non abbiano mai sollevato rilievi in merito. Nella maggioranza dei casi stiamo parlando di soggetti che rivestivano un doppio ruolo , di responsabili della gestione dei fondi dell'Ambito e di rappresentanti dei loro Comuni nell'Assemblea di Retesalute. Per anni hanno sottoscritto all'unanimità i Bilanci in pareggio di Retesalute. Nonostante che ai Comuni soci e ai loro rappresentanti nelle Aziende speciali la normativa affidi importanti compiti di vigilanza.....

Forse perché a loro volta il Distretto provinciale, l'Ambito o i Comuni stessi che eventualmente si sono ritrovati con risorse inutilizzate avrebbero dovuto restituirle ai soggetti erogatori? Perché il Comune di Lecco, la Comunità montana di Bellano e il Distretto lecchese, che rappresentano la grossa percentuale dei "creditori", hanno sollecitato questi pagamenti a partire dal 2020, su "spinta" della stessa Retesalute sulla base dei conteggi resi noti dal duo Colombo/Mattiello?

Di tutto ciò si deve trovare traccia nelle relazioni dei revisori dei conti comunali e nelle scritture tenute dai responsabili dei servizi finanziari di questi Enti.

L'Ambito non può non avere contezza di dove e come sono state utilizzate le risorse ottenute da Stato, Regione e Ats e, infine, Retesalute non può non avere corrispondenza tra i fondi ottenuti dai comuni e le relative spese dirette o pagate a terzi - vedi il consorzio di cooperative Consolida, titolare di crediti per un milione mai davvero reclamati dopo i canonici 60-90 giorni - a meno che non abbiano utilizzato le risorse eccedenti per coprire il disavanzo tra il costo reale del servizio e quello praticato al Comune che lo ha comperato per suo tramite.

Se tutto ciò ha un senso i primi ad essere chiamati in causa non dovrebbero essere gli amministratori pro tempore - che peraltro hanno sempre svolto gratuitamente il servizio - e per paradosso neppure i dipendenti per quanto avrebbero dovuto alzare subito la mano e segnalare il deficit tra costo e ricavo del servizio.

Spieghi l'Ambito piuttosto come ha "seguito" e controllato il flusso di soldi girato ai Comuni attraverso Retesalute. Spieghino i Comuni se e come hanno verificato la corrispondenza tra le risorse incassate dall'Ambito, quelle girate a Retesalute e i relativi servizi erogati dall'Azienda speciale.

Il Presidente del collegio dei liquidatori ora pretende - senza mezze misure - che i Comuni versino la quota parte del disavanzo di 4 milioni accampando l'ipotesi - davvero peregrina - che poi l'azione di rivalsa su membri del cdA, dipendenti, revisori dei conti, membri del comitato di sorveglianza (con diverse esenzioni inspiegate e inspiegabili) porterà ad un incasso di 4 milioni i quali, in grossa parte, saranno nuovamente ritornati ai Comuni. Quasi come se l'Ente locale facesse anticipazioni di cassa.

Smentendo peraltro la tesi scritta che il disavanzo si è creato per il divario tra costi e ricavi di servizi; divario che nell'improbabilissimo caso i denunciati dovessero mettere mano al portafoglio, resterebbe immutato generando così una contraddizione tra la causa del dissesto e la sua conclusione.

Noi restiamo incrollabilmente convinti che tutto questo grande caos poteva essere evitato seguendo la strada indicata dal dottor Munafò e dall'avvocato Ferrari i quali hanno messo nero su bianco la possibilità certa di ripianare il disavanzo senza avviare procedure di liquidazione ma soltanto sulla base di un solido programma di ristrutturazione del debito e di rilancio dell'attività.

Ma a partire dal comune di Merate - per opera del sindaco Massimo Panzeri sostenuto in pieno dalla segretaria comunale - si è preferito scegliere la strada indicata dal dottor Ciro D'Aries, attuale presidente del collegio dei liquidatori. Il quale, alla fine dell'incontro ha annunciato che una volta incamerati i soldi dai comuni si potrà tornare in bonis e riprendere l'attività.

Cavolo ma non è quello che abbiamo sempre sostenuto senza la necessità di avviare una costosissima liquidazione e altrettanto costosissime azioni legali che, così a sensazione, hanno scarsa possibilità di andare nella direzione auspicata?

Claudio Brambilla
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